Il diario di uno Schiappacasse Chi cura i dolori del talento?
arol con diritto di riscatto. Ma prima deve riscattarsi da una storiaccia. A fine gennaio, era stato arrestato dalla polizia di Maldonado: trovato in possesso di un'arma da fuoco nella sua auto e delle pasticche stupefacenti. Palla prigioniera. Il ragazzo sta espiando, triste e solitario, nella sua cella. È risultato anche positivo al Coronavirus, non può ricevere visite da parenti o amici e dovrà stare in carcere fino al 26 aprile. La famiglia e gli avvocati hanno lanciato l'allarme: «Nicolas è molto depresso. Quando uscirà dal protocollo Covid e potremo vederlo, chiederemo assistenza medica per questo problema». Il “male oscuro” colpisce ancora. Il problema è che, al di là dell'iperconnessione mediatica e delle cascate di denaro, l'universo pallonaro è rimasto più o meno quello che denunciava negli anni '70 l'attaccante di lotte Paolo Sollier quando nel suo libro-manifesto Calci e sputi e colpi di testa (appena riedito da Mimesis) denunciava: «Il mondo del calcio è in ritardo rispetto al mondo reale». La depressione ha stroncato sul nascere la carriera, anzi stava per uccidere, il baby prodigio svedese Martin Bengtsson. A 18 anni, nel 2004, arrivò all'Inter con le stimmate del campione, un anno dopo era a un passo dal suicidio. Così, nel 2007, appena uscito dal tunnel scrisse la straziante autobiografia Nell'ombra di San Siro che poi è diventata la sceneggiatura del film Tigers. Un film che dovrebbe essere visto in tutte le scuole calcio, perché dentro c'è una grande verità: il giovane che non sta al passo con i ritmi talora disumani del professionismo rischia di perdersi. E a volte per sempre. Flachi, Ilicic, Schiappacasse... confermano quello che Bengtsson ha denunciato tanto tempo fa: «Nel calcio ci sono dottori per tutto, tranne che per la testa».