Il decalogo del cattolico in Rete e la tentazione dell'influencer

Avrei davvero avuto l'imbarazzo della scelta, dovendo per ragioni di spazio scegliere di commentare il comandamento che mi appariva più originale o interessante o utile a confronto dei molti altri decaloghi incontrati da qualche anno a questa parte. Se non fosse per la scelta stilistica messa in campo dalla Graziano: modulare cioè ciascun articolo del suo decalogo sul vero Decalogo, così che a conti fatti il cristiano che decidesse di "fare il cristiano" in Rete troverebbe qui parametri assai stringenti. Così «non avrai altro Dio al di fuori di me» si traduce in «non fare un idolo di te stesso», «ricordati di santificare le feste» vuol dire «decidi se è un hobby, un lavoro o una missione», «non uccidere» e «non rubare» equivale a respingere la logica degli odiatori da tastiera e a non aver paura di essere anticonformista (cioè a non copiare gli altri, per dirla chiara), e «non dire falsa testimonianza» si pratica documentandosi «prima di scrivere boiate».
Potentissimi gli ultimi due comandamenti, perché ribadiscono il primo in termini di vocazione: chi sta in Rete a partire da un'ispirazione cristiana rifugga dalla tentazione di proporre la propria vocazione – il proprio modo di vivere il Vangelo – come un modello da desiderare, da imitare. Insomma, non faccia l'influencer: nella Chiesa «i santi vengono dichiarati tali solamente post mortem e dopo un lungo processo».