L'agricoltura italiana è davvero a rischio di estinzione? Parrebbe di sì, stando ad alcuni allarmi lanciati dalle organizzazioni professionali. Parrebbe di no, stando ad alcuni dati e ragionamenti che le stesse organizzazioni conducono. Il problema è però un altro. Occorre, cioè, capire quale tipo di agricoltura si vuole far vivere, e quale debba morire. Anche questo interrogativo, però, non ha una risposta univoca. E' possibile, tuttavia, porre qualche spunto per ulteriori riflessioni.
Oggi in Italia esiste più di un milione di aziende agricole: una su cinque se si guarda all'intero universo produttivo italiano. Si tratta di imprese che complessivamente animano un giro d'affari di oltre 180 miliardi di euro, il 15,6% del Pil nazionale, e occupano milione e mezzo di persone, una buona parte di queste sono ormai provenienti da Paesi extracomunitari. L'agricoltura, quindi, ha un ruolo economico, sociale, territoriale. Ma, se i campi vincono come settore dai connotati e dalla caratteristiche importanti per il Paese, perdono - spesso irrimediabilmente - come comparto economico. Più semplicemente, la ragione di scambio dei prodotti agricoli è spesso passiva per i produttori agricoli. E a poco sembra siano valse le numerose operazioni di riassetto della catena produttiva. L'agricoltura - è un dato circolato proprio in questi giorni - non riesce nemmeno a tutelare la propria occupazione nei confronti del maltempo. Stando alla Coldiretti, infatti, nel 2002 sono stati persi 30mila posti di lavoro a causa delle intemperie.
Intanto, le organizzazioni professionali appaiono tornate nuovamente in fermento. Su più fronti. Domani, per esempio, la Cia inizia da piazza del Popolo a Roma una serie di manifestazioni per porre «l'agricoltura al centro del rinascimento del Paese». Partendo dall'adozione di un prodotto agricolo a rischio di estinzione per arrivare a puntare il dito sui problemi che stanno davvero strozzando le imprese: le questioni legate alla terra, ai capitali, al lavoro, ma anche quelle che interessano il rinnovamento tecnologico e informatico, i nuovi prodotti e la concorrenza internazionale. Tutto questo accade mentre sembra accentuarsi - invece che diminuire - il solco fra agricoltura e industria. Non per nulla, il vertice di Federalimentare, Rossi di Montelera, ha affermato come «il vero segreto del successo del Made in Italy è la ricetta e la tecnologia utilizzata, non solo le materie prime». Una frase giusta che ha scatenato le polemiche degli agricoltori.
Rimane però la questione di fondo. «L'Italia ha un cuore agricolo. Facciamolo battere», dice la Cia. Ma che tipo di cuore deve battere? E come? Le risposte a questi interrogativi sono per ora altri interrogativi, mentre il mercato fa la sua parte decidendo da se'.