Il "crudele calcolo", come lo ha definito l'Economist, diventa sempre più difficile. Da una parte le ragioni indiscutibili della tutela della salute degli italiani, drammaticamente evidenti a tutti, dall'altra le esigenze della produzione e del lavoro, di cui i nostri connazionali stanno diventando giorno dopo giorno più consapevoli. Secondo l'ultimo sondaggio di SWG, secondo cui oggi il 60% degli italiani vorrebbe la riapertura "prima possibile" delle aziende che possono garantire ai lavoratori un elevato livello di sicurezza, contro il 34% che invece ritiene opportuno tener chiuse le aziende fino alla fine dell'emergenza. Giunti al termine della prima fase della drammatica crisi da Covid-19, dunque, il lavoro emerge come il fulcro della tenuta psicologica e sociale degli italiani. Partite IVA, lavoratori saltuari e in nero sono stati già travolti dalla chiusura di ogni attività produttiva, dovendo affrontare spesso situazioni di estrema difficoltà economica. Ma anche nel cuore del mondo del lavoro privato italiano – che racchiude quasi 16 milioni di lavoratori dipendenti – si stanno diffondendo sentimenti che oscillano dalla preoccupazione di chi lavora nelle grandi e medie imprese di perdere quote crescenti di reddito, anche a seguito dell'applicazione di massa della Cig "Covid", al terrore di perdere il lavoro di chi opera all'interno di micro e piccole imprese. Sapendo che sarà molto difficile ritrovarlo, in piena recessione e in un mercato del lavoro rigido come quello italiano. La gestione dell'emergenza con misure assistenziali è assolutamente necessaria, dunque, ma rischia di non essere più sufficiente per garantire la tenuta sociale del Paese. A mio avviso, la priorità è una ripartenza programmata della produzione che possa riportare – in un tempo ragionevole e certo – il lavoro al centro della vita quotidiana degli italiani, come chiede l'appello sottoscritto da Confindustria Lombardia, Emilia Romagna, Piemonte e Veneto in linea con molte altre organizzazioni d'impresa. Perché tenere spento ancora a lungo il motore del Paese – di fronte a scelte diverse compiute da altri Paesi europei - significherebbe perdere centinaia di migliaia di imprese e milioni di posti di lavoro, nonché competenze e quote di mercato globale che rischiamo di non poter più recuperare. Ripartire si può, senza mettere a rischio in alcun modo la salute dei lavoratori. Le aziende in grado di rispettare i protocolli di sicurezza definiti con il Governo devono poter ripartire rapidamente. Nell'interesse dei lavoratori, prima ancora che degli imprenditori. Cancelli chiusi, invece, per le imprese che non sono in grado di garantire la sicurezza nei luoghi di lavoro. Si tratta naturalmente di una decisione politica, molto complessa e delicata, che richiede coraggio. Ma è un coraggio "ordinario": quello di scegliere e di assumersi responsabilità. Ovvero la costituency dell'attività di Governo.
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