La luce della fede cristiana, quella autentica, quella che ci trasforma in fiaccole di speranza in mezzo a un mondo che fa fatica a trovare le proprie motivazioni, affascina e trascina. È qualcosa che trasforma le vite non solo dei testimoni, ma anche di chi viene illuminato dalla testimonianza. Questa dinamica per “contagio” dell’evangelizzazione appare chiara nella vicenda dei santi Tiburzio, Valeriano e Massimo, martiri vissuti tra il secondo e il terzo secolo. Per la tradizione Valeriano era il marito di santa Cecilia, che aveva piantato nel cuore dell’uomo il seme dell’annuncio del Risorto portandolo ad aderire al Vangelo. Dopo aver ricevuto il Battesimo da Urbano I (Papa dal 222 al 230), Valeriano portò alla fede cristiana anche il fratello Tiburzio. La conversione però costò ai due fratelli una condanna a morte da parte del prefetto Almachio, che li affidò alla custodia del “cornicularius” Massimo (ufficiale in seconda del console). L’ufficiale, però, anch’egli affascinato dal modo in cui la fede aveva trasformato e plasmato le vite di Valeriano e di Tiburzio, prima di fare eseguire la sentenza si convertì, venendo così condannato e ucciso qualche giorno dopo. I due fratelli furono martirizzati e sepolti in un posto chiamato Pagus, a quattro miglia da Roma, ma che non è stato identificato. Era forse l’anno 229.
Altri santi. San Giovanni di Montemarano, vescovo (XI sec.); sant’Alfonso da Siviglia, religioso (XV sec.).
Letture. Romano. At 3,13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2,1-5; Lc 24,35-48.
Ambrosiano. At 16, 22-34; Sal 97 (98); Col 1, 24-29; Gv 14, 1-11a.
Bizantino. At 6,1-7; Mc 15,43-16,8.
t.me/santoavvenire
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