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Il contagio della disuguaglianza

Alberto Ambrosio domenica 19 aprile 2020

È già stato detto un po’ di tutto sul virus. È stato detto che il virus ha suscitato una gara di solidarietà tra tante persone o anche associazioni, imprese, società: una gara di solidarietà a chi fosse riuscito ad aiutare di più. E di fatto questo si è avverato, basti pensare all’infaticabile lavoro di medici, infermieri, personale sanitario, e a tutte quelle funzioni che rendono possibile il vivere sociale essenziale. Sfidando la virulenza, queste persone hanno tirato fuori ancora più grinta, permettendo a tanti di noi di stare in una specie di “comodo” (una specie, perché non lo è mai) confinamento. Molti altri hanno fatto a gara nel donare del proprio per finanziare la costruzione di ospedali o attrezzature mediche o di altri importanti mezzi. Questo agente patogeno ha rivelato il carattere profondamente sano dell’essere umano. Ha messo in luce il fatto che l’uomo può essere ancora buono, generoso, benevolente fino all’eroismo. Il virus tuttavia non ha messo solo in rilievo atteggiamenti buoni assopitisi con il tempo, ma sta mettendo anche in risalto le disuguaglianze, le perequazioni sociali, le infinite variazioni delle differenze tra gli uni e gli altri, tra società e società, tra nazioni e nazioni, tra continenti e continenti.
Il virus, senza nessuna colpa, rivela tutto quel che in fondo si sapeva: che esistono delle disuguaglianze e che queste, in situazione di emergenza, diventano ancora più accentuate, più flagranti. Anzi, il virus rivela non solo le disuguaglianze che già si conoscevano, ma svela le conseguenze di quanto contenuto implicitamente in quel disequilibrio: chi è debole, lo è ancora di più. Penso alle donne maltrattate che subiscono ancora più violenza, penso a chi già faceva fatica ad avere di che mangiare prima e lo è ancora di più adesso. Penso ai precari che diventano disoccupati. Penso a un sistema che aveva già prima enormi falle e ora fa acqua dappertutto. E questo non significa condannare il sistema attuale – un’economia di mercato, capitalistico di tendenza neo-liberale –, ma almeno costatare che questo, come tutti i sistemi umani, ha dei limiti. Oggi, come nella grande crisi del 1929, si toccano le contraddizioni. Forse ci sarà un J. M. Keynes che salverà il sistema, ma potrebbero anche esserci sorprese. Vero è che il virus rende evidente ogni tipo di speculazione che sfrutta questa situazione di emergenza sanitaria e sociale. Il virus, più che essere buono o cattivo (sicuramente è sicuramente), rivela quel che la realtà comporta in termini di disfunzioni, di patologie. Vero per le reazioni del fisico umano, lo è ancor più per la società. Il virus ci obbliga a svelare tutti quegli aspetti negativi che non avevamo il coraggio di ammettere esistessero. È proprio in quel senso che il virus è rivelatore. Non è una Rivelazione, ma è rivelatore del bene, del male e dei limiti del nostro sistema.