Reparto oncologico, tra i malati terminali si sente gridare una giovane donna. Attraverso la cannula dell’intubazione orale, in maniera indistinta la donna continua a ripetere: «Ho vinto il concorso! Ho vinto il concorso!». Non è il tripudio per un prossimo incarico, impossibile da ricoprire. È l’ultima vittoria della sua vita sconfitta. Il concorso: chissà quale, chissà quanto desiderato e meritato. Il concorso, traguardo che inaugura una nuova condizione per chi lo consegue. Per lei no. È la formula del suo addio, l’ottenuto riconoscimento del suo valore. È medaglia appuntata sul petto appena in tempo. In tempo, sì, proprio quando non ce n’è più, quando è scaduto e sgocciola dalle flebo. Ce l’ha fatta, ha vinto il suo concorso. Lo grida da intubata, accorre il personale medico e nel reparto piovono le impensabili congratulazioni. Conosco poesie e preghiere sulla travolgente forza della vita. Una brevissima dice: «Trafitto da un raggio di sole». Il suo concorso vinto, esclamato a gola strozzata, scrive la variante di quel raggio, un verso che non posso dimenticare. Non è stata sconfitta, morendo con un grido di vittoria.
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