Si intitola La scuola è finita un piccolo, prezioso libro edito dalle edizioni Sonda, specializzate in testi che riguardano la nonviolenza e l'educazione: una ventina di cartelle o poco più accompagnate da una breve intervista all'autore, un parigino che ha superato i 50 anni, che fa l'insegnante e dichiara con un giusto orgoglio che è questa la sua vocazione. Best-seller in Francia, soprattutto nel mondo della scuola, non mi pare che in Italia nessuno abbia voluto accorgersene, tanto meno gli insegnanti. Yves Grevet (che può anche sembrare un anti-Pennac perché anti-seduttivo) scrive romanzi per ragazzi, tra i quali una trilogia pubblicata sempre da Sonda, La Casa, L'Isola e Il Mondo, che possiamo ascrivere al genere della fantascienza, e piuttosto alle distopie che non alle utopie, poiché vi si ipotizza un futuro in cui la vita non è affatto facile per chi vi deve crescere. Di futuro parla anche La scuola è finita, un racconto didascalico, che tratta di un futuro probabilmente vicino, senza calcare le tinte e senza prediche ricattatorie. Che tipo di futuro, per la scuola? Tre modelli. Una scuola per i figli di ricchi che li addestra alla gestione del comando. Una scuola per i figli dei poveri che li addestra a qualche mestiere considerato basso e che agisce di fatto, nonostante le forme, come un luogo di lavori obbligati, forzati, e dove gli insegnanti si chiamano "promoter pedagogici" invece che prof o maestro e gli allievi vengono chiamati "bambini aziendali" dagli studenti delle scuole di ricchi. E infine una terza scuola, clandestina o "della Resistenza", che è quella che vecchi insegnanti tardo-umanisti e genitori che non accettano il modello di società imposto dal potere e le sue regole inventano e frequentano, con tutti i rischi in cui incorre chi si mette fuori della legge. I suoi insegnanti «rischiano ogni giorno la galera per l'esercizio illegale dell'insegnamento e pesanti multe per furto di manodopera infantile». «All'inizio del XXI secolo la gente – dice la piccola protagonista – non è stata in grado di rifiutare quello che le veniva imposto. (…) E dice che ormai è troppo tardi. Ma i miei compagni e io sogniamo di cambiare e ci siamo ripromessi di riuscirci, un giorno». Il quadro delineato da Grevet è pessimista, ma niente affatto improbabile. La messa in guardia è utile, indispensabile.