Rubriche

Il cartellino rosso agli “scienziati” dell’Ifab adesso lo diamo noi

Massimiliano Castellani domenica 3 dicembre 2023

Abbiamo immaginato l’Ifab - International Foundation Big Data and Artificial Intelligence for Human Development – come un laboratorio simile a quello di Oppenheimer a Los Alamos. Sospettiamo infatti che lì dentro operino degli scienziati atomici che nell’intento di rivoluzionare il calcio moderno hanno deciso di distruggerlo, una volta per tutte. Non gli era bastato aver introdotto il Var, il recupero senza tempo effettivo con partite che ormai finiscono al 115’, della stagione successiva, e le sostituzioni di massa, fino a 5 cambi, come placebo post Covid. Ora il pandemico Ifab estrae dal suo cilindro il cartellino rosso dell’ «espulsione a tempo». Per proteste e falli tattici si verrà spediti in panchina, “a tempo”, per la durata di 10 minuti. Dopo l’occhio di falco, preso in prestito dal volley e dal tennis, ora il calcio prende spunto dalla pallavolo, ma anche dal rugby, hockey su ghiaccio, pallamano e pallanuoto. Forse gli scienziati Ifab immaginano scenari futuristici, in cui anche i campi di calcio si riempiranno d’acqua per simulazioni di battaglie, proprio come facevano gli antichi romani a Piazza Navona. L’inizio della sperimentazione non ha ancora una data precisa, ma questi dottori dell’innovazione quando si mettono in testa che qualcosa deve cambiare nello showbiz del pallone alla fine inducono Fifa e Uefa a farlo. È stato così per il “calcio spezzatino” al servizio esclusivo delle pay-tv, e sarà così anche per questa ennesima “cagata pazzesca” (cito il letterario Fantozzi) che rompe ancora con la tradizione, per regalare qualcosa di nuovo a vantaggio di qualche sceicco, che non si accontenta più dei Mondiali in inverno, ma vuole anche il cartellino rosso relativo, pardon, a tempo. Consoliamoci con quello che ancora offre di bello il calcio, tipo Federico Di Marco. Il suo gesto, sfuggito ai più, riempie il cuore: il difensore dell’Inter e della Nazionale prima del fischio d’inizio del Derby d’Italia con la Juventus, vedendo una bambina (tra i 22 “pulcini” che accompagnano i calciatori all’ingresso in campo), intirizzita dalla fredda serata torinese, si è tolto il giacchino della tuta e paternamente glie l’ha messo sulle spalle. Niente di speciale? Invece sì, perché è davvero da questi particolari che si giudica un giocatore. Figlio di fruttivendoli milanesi, partito dall’Inter in prestito (Empoli, Sion, Parma e Verona), senza certezza del ritorno alla Beneamata, Di Marco è la conferma che la classe operaia va ancora in paradiso. E c’è riuscito con la tenacia, con la grinta e tanto allenamento. Parola questa, «allenamento», bandita dal calcio stellare. «Negli ultimi sette anni, praticamente non ho allenato - denuncia Pep Guardiola -. Al Manchester City ci alleniamo solo il giorno prima del match e al massimo 25 minuti. Se ci allenassimo sul serio, con questi ritmi stagionali non avrei giocatori disponibili per il match successivo». Senza l’allenamento tanti talenti non emergerebbero, e nel pugilato Muhammad Ali forse non sarebbe diventato il Re dei massimi, perché a chi gli chiedeva come si allenasse rispondeva: «Io corro sulla strada, molto prima di danzare sotto le luci».