Certe notti mio padre aveva un incubo. Mia madre lo sentiva cadere con un tonfo dal letto. «Un brutto sogno», diceva solo rialzandosi, pallido. L'incubo che lo inseguiva da vent'anni era un ricordo della Ritirata sul Don. Di un'alba nella pianura sepolta dalla neve. Mio padre, sottotenente della Julia, nella notte si era messo al riparo fra le isbe di un villaggio. Fu svegliato da un rombo crescente, un clangore minaccioso di cingoli in marcia. Quando lo vide, nell'oscurità, era a pochi metri. Un carro armato russo avanzava spedito fra i vicoli angusti del paese. Il carrista lo aveva visto, o procedeva feroce e indifferente? Mio padre a terra, irrigidito dal freddo, vide l'ombra nera che gli piombava addosso e si sentì perduto. Ma con un disperato colpo di reni si scaraventò all'indietro. I cingoli gli passarono a un metro dalla testa. Lui lesse, e ricordò per sempre, i numeri del telaio sulla lamiera. Quell'istante continuava a inseguirlo, nella pace degli anni '60. Nel sonno allora dava ancora un gran colpo di reni. Un metro, tanto mancò a troncare il filo della vita che da lui correva a me, lontana dal venire al mondo, e poi ai miei figli. Ci pensavo, guardandoli, bambini. Ma loro, erano già nei pensieri di Dio. Il carro armato si allontanò sferragliando, impotente davanti a quel disegno.