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Il calvario dei pazienti dializzati La sanità divisa e non integrata

Paolo Massobrio, Giorgio Calabrese sabato 9 novembre 2019
Sono rimasti soltanto in sette pazienti. Sono tutti anziani, in condizioni disagiate. Sono i pazienti dializzati che non potendo usufruire dei posti nella provincia di Reggio, sono costretti ad attraversare lo Stretto tre volte la settimana per curarsi in Sicilia, presso un centro privato di dialisi. I costi sono altissimi per la nostra Regione, stando all’analisi di Francesco Puntillo, delegato Aned, l’associazione nazionale emodializzati. «Stiamo parlando di cifre che si aggirano intorno ai 380 euro – riferisce Puntillo – a fronte dei 200 che vengono rimborsati presso un centro pubblico». E lo Stato paga, ovvero i contribuenti pagano. Ma non si tratta solo di una mera questione di sprechi, piuttosto c’è di mezzo la qualità della vita di queste persone. Già affaticate dalla malattia, in precarie condizioni economiche e tratte da un contesto magari disagiato, sono sottoposte a un calvario per garantirsi la dialisi. Sveglia prestissimo, una navetta – del privato siciliano – passa a prenderli sotto casa, fa il giro di tutte e sei le abitazioni dei pazienti da trasferire oltre lo Stretto per le cure. Traghettamento e quindi l’attesa estenuante che tutti e sei finiscano la dialisi: verso le ore 14, tutti insieme come se si trovassero in una gita di piacere, ripartono alla volta del porto di Messina, nuovo traghettamento e, infine, sfiniti rientrano alle proprie case. Sono le ore tre del pomeriggio. D’estate, d’inverno, col sole o con il buio non fa alcuna differenza: questo è l’iter che questi pazienti devono seguire obbligatoriamente, se vogliono salvare la pelle. «Una vergogna nazionale – tuona Puntillo – a cui nessun commissario è riuscito a porre rimedio». Da tre anni Aned che venga aperto un centro pubblico o privato che sia nel comune di Reggio Calabria, come avviene a Messina. «Si dice, si propone ma poi nulla si attua» ricorda Puntillo, consapevole che questa faccenda è di difficile soluzione. Lui, per vicende che lo riguardano da vicino, ben conosce queste fatiche a cui sono sottoposte le persone dializzate: «Queste donne e questi uomini a causa della dialisi entrano in un vortice che stravolge il fisico e anche la mente – analizza Puntillo –. Con questi traghettamenti non riposano adeguatamente, figuriamoci se possono trovare il tempo per organizzare sit–in di protesta». Il cenno è chiaro: sono dimenticati. Sono tra quei pochi, invisibili a volte, pendolari che beneficerebbero di un vero sistema di trasporti integrato. Più a misura del cittadino, soprattutto se debole. Ma sono anche tra i tanti che chiedono che si passi dalle parole ai fatti, che l’area metropolitana diventi sistema per risolvere problematiche con soluzioni comuni, condivise. Perché tre volte la settimana moltiplicato per tutta la vita in queste condizioni non si può davvero sopportare. (s.c.)