Il calcio come un circo itinerante per tifosi bulimici
Così, ormai, è diventato normale vedere tornei pre-campionato in Giappone, amichevoli in Cina per soddisfare sponsor esigenti oppure, come succederà venerdì, giocare a Doha, in Qatar, la finale di Supercoppa italiana. Già, Doha: il Qatar ospiterà il campionato mondiale di calcio del 2022, e già qui ci sarebbe tanto da scrivere rispetto a un'assegnazione che, uso un eufemismo, ha destato qualche sospetto. Sta di fatto che in Qatar il calcio è diventato un asset del Paese e, sempre più spesso, all'aeroporto di Doha scendono squadre e campioni che svolgono un po' il compito di quei circhi d'inizio secolo, che arrivavano nelle città di frontiera, esibivano animali esotici, artisti, clown e magari permettevano perfino agli spettatori di sfidare il grande campione di lotta o di pugilato. Poi, terminato lo spettacolo, smontavano il tendone e arrivederci. A Doha, prima di Juventus e Milan come un antipasto per tifosi bulimici, è arrivato anche il "circo" del Barcellona, la settimana scorsa. Un'amichevole infrasettimanale, così per non perdere l'abitudine. Pensare che una volta le amichevoli si disputavano sul campo di allenamento di casa contro i giovani della squadra Primavera o contro squadrette di dilettanti della provincia che poi raccontavano per tutta la vita di "quella volta" che giocarono contro la Juventus, il Milan o l'Inter.
Oggi le amichevoli infrasettimanali si fanno a sette ore di volo di distanza, viaggiando in business class con la compagnia aerea che ti sponsorizza la maglia. Per una volta, tuttavia, il circo (nel senso mediatico del termine) ha lasciato un po' di spazio al romanticismo. L'amichevole infrasettimanale del Barcellona a Doha, con una squadra locale (la conoscerete tutti: i famosi campioni dell'Al Ahli!), è stata l'occasione per far incontrare Leo Messi, che del circo è una delle attrazioni principali, al piccolo Murtaza, un ragazzino afghano la cui foto con una improvvisata maglia fatta con una busta di plastica a strisce bianco-celesti come quella dell'Argentina ha fatto il giro del mondo.
Murtaza si era scritto sulle spalle il numero 10 e il nome del suo idolo con il pennarello, ma il piccolo fan e il grande campione non si erano mai incontrati, nonostante il clamore suscitato da quella foto diventata virale. L'amichevole in questione ha permesso al "miracolo" di realizzarsi. Murtaza, vestito di tutto punto con la maglia del Barcellona, ha accompagnato la squadra in campo, mano nella mano con il suo idolo. Il solito rituale: squadre allineate al centro del campo per il protocollo ufficiale e materiale in archivio per i rispettivi uffici marketing.
Tutto normale, fino al rompete le righe, quando succede l'unica cosa dal sapore vero di questa vicenda che, onestamente, sa un po' di plastica come quella famosa maglia di Murtaza. Il piccolo, con il suo campione lì a portata di mano, l'erba perfetta (sarà stata anche quella artificiale?), il pallone, tutto quel pubblico… dal campo non se ne vuole più andare! Rincorre sorridendo il suo idolo (ormai concentrato sul fischio d'inizio), fa capolino nella foto di squadra del Barcellona fra le risate di Messi e dei suoi compagni che cercano di invitarlo in tutti i modi ad uscire.
Niente da fare: per risolvere la situazione serve il tutore dell'ordine, l'arbitro, che lo prende in braccio accompagnandolo, praticamente di peso, fuori dal campo. Un momento, bello, genuino, di grande tenerezza. Un tuffo, per un attimo, in un mare di acqua pulita. Dura un attimo, ma è un bell'attimo, da godersi prima di tornare inevitabilmente a nuotare in quella piscina artificiale a cui ormai ci siamo assuefatti. Come venerdì quando – aerei permettendo, visto il disguido che ieri non ha permesso al Milan di partire per il Qatar – a bordo vasca, sarà pieno di spettatori che dopo essersi accaparrati i biglietti per la partita nei centri commerciali di Doha, si divideranno in tifoserie occasionali, disputandosi (tirandole forse a sorte?) bandiere bianconere o rossonere.