Dopo Imma Tataranni anche Il cacciatore, a distanza di ventiquattr'ore, ha chiuso i battenti. Le vicende del sostituto procuratore sui generis interpretato da Vanessa Scalera hanno occupato con la seconda stagione quattro serate di Rai 1. Mentre il magistrato a cui ha dato vita il mercoledì su Rai 2 Francesco Montanari è addirittura una stagione avanti e in quanto a originalità non è da meno della collega, pur essendo tra loro diversi come diversi sono i casi che affrontano. Il cacciatore, che si ispira a storie vere, nella finzione televisiva risponde al nome di Saverio Barone. Nella realtà è Alfonso Sabella, sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo all'epoca di Gian Carlo Caselli, autore del libro Cacciatore di mafiosi. Barone non è un eroe, anzi: è un uomo complesso, con un carattere ruvido, non compiacente, che a tratti si mostra pure fragile. Non a caso, dopo aver affrontato la nuova mafia corleonese, emergente ai primi anni Novanta, e aver messo a segno la cattura di Giovanni Brusca, in questa terza stagione Barone vive una crisi familiare, soprattutto per il difficile rapporto con la figlia, e al tempo stesso una crisi professionale finendo per mettere in discussione il senso del suo lavoro: si domanda quante possibilità ha di riuscire a battere il suo nemico e cosa fare per non mandare in frantumi il suo universo personale. In questo senso il racconto di questa terza stagione si fa più intimo, ma senza trascurare il tema di fondo: la lotta alla mafia. Tra l'altro una mafia diversa, che si combatte con l'attesa e la pazienza e non più con azioni clamorose, dove emergono le figure di Pietro Aglieri e Bernardo Provenzano. Una mafia le cui contraddizioni sono evidenziate anche dalle controverse forme di religiosità e dai tanti simboli cristiani che compaiono nei rifugi dei boss, le "prede", che a differenza dei "cacciatori" mantengono il loro vero nome.