Il sole aveva appena dato il via alla giornata e l'infermiere Carlo Bugadon risaliva con la sua barca il fiume, che attraversava in diagonale, per giungere alla nostra casa. Spingeva l'imbarcazione, premendo sul fondo con un palo. La lancia dondolava di lato ma l'erculeo uomo non perdeva l'equilibrio. Era così vigoroso che in ospedale poteva sostituire la camicia di forza, alla bisogna. Quando ripenso a lui, mi si appalesa il vecchio marinaio Santiago del romanzo di Hemingway. Mentre faceva l'iniezione, raccontava dei guai per l'adozione della bambina. Era incappato nella trappola della burocrazia. Io, piccolissimo ed intollerante al latte, mangiavo una tazzinona di caffè olandese. Era una specie di cicoria, che stava in un piccolo parallelepipedo di carta, con un elefante disegnato su un lato per significare la sua orientale provenienza. A ben pensarci, che questo partisse dall'India per andare in Olanda e scendere poi a Milano, non era certo un consumo a km zero. Prima del pane, mia madre ci ficcava dentro un cucchiaio di burro (che stranamente tolleravo benissimo). Pian piano si scioglieva in un bellissimo alone bianco sul nero del caffè. Restavo a guardare, imbambolato fino al ritardo. Secondo me quella era la rappresentazione della creazione. La comparsa della luce nel buio e la disseminazione degli astri nel cielo.