È stato un incontro che m'ha aperto gli occhi quello col direttore generale della Sacra Famiglia di Cesano Boscone, realtà che negli ultimi tempi è salita alla ribalta della cronaca per un personaggio eccellente che svolge i servizi sociali. Ma non è di Silvio Berlusconi che vogliamo parlare, ma di una domanda che in questi ambienti hanno cominciato a farsi: come parlare con il cibo? O meglio, come aiutare chi vive una situazione di fragilità, come la disfagia (incapacità di deglutire), che coinvolge molte persone anziane? Una bella sfida, vien da dire, quanto mai necessaria se non vogliamo sentire l'incoerenza di un momento dove il cibo è messo al centro delle attenzioni, ma senza mai ricordarne il suo aspetto evocativo ed educativo. Cosa racconta ad una persona un profumo, un sapore, una sensazione tattile? Racconta una storia di appartenenza, e quindi legami, che sono custoditi nella memoria. E invece proprio nei Paesi più sviluppati, come il nostro, sia il ricovero sia la degenza in qualsiasi forma hanno spesso un carattere di annullamento di questi fattori, come se il cibo, che è alla fonte della vita stessa, non c'entrasse più. Però si fanno i saloni del gusto, ci sono le sagre, ed anche l'Expo si occuperà di come nutrire il Pianeta. Ma l'animo che non può essere distaccato da una fisicità, come si nutre?«La sfida della Fondazione Sacra Famiglia – mi ha raccontato il dottor Pigni – è quella di comprendere i gusti, assecondare le abitudini, conciliandole con le necessità sanitarie. Un lavoro di squadra tra professionisti, coscienti che l'alimentazione per ogni persona ha un'importanza straordinaria. Gustare un buon piatto è infatti una grande gratificazione, più di quanto possiamo immaginare». Ma questo non vale solo per i degenti, ma per chiunque ci sta accanto. E come questa attenzione è stata per un genitore che ha iniziato a prendersi cura dei figli il compito principale, altrettanto dovrebbe essere viceversa. Già, ma come si sta rispondendo a questa sfida? «Abbiamo cominciato ad adottare soluzioni per personalizzare il cibo – dice sempre Paolo Pigni – e permettere di poter godere della colazione, del pasto e della cena». Da qui lo sviluppo del progetto, che significa trovare partnership che sviluppino soluzioni di tecnologia alimentare adeguate allo scopo, perché nel caso della disfagia si tratta di individuare cibi di densità e consistenza giusta. Ed è bello leggere parole come "gioia del cibo", "qualità delle materie prime" e persino "attenzione al modo in cui si impiatta". Ma mi ha pure colpito apprendere che, durante una recente sperimentazione a Cesano Boscone, sono state impiegate apposite "porcellane" per il servizio, come a chiudere un cerchio: il buono ha bisogno anche del bello, per evocare sempre e fino in fondo quel grande dono che è la nostra stessa esistenza.