L'invisibilità può essere un diritto, al pari dell'oblio? Massimo Cacciari (“Stampa”, 16/6) mette in guardia dall'«ossessione della memoria (...): ricordare tutto è ricordare nulla». L'invisibile e il dimenticato potrebbero non essere un difetto, un dramma, perfino una tragedia. Anzi: «Dilaga un'idea di memoria come di un immenso contenitore in cui accatastare mucchi di indifferenti ricordi, dati e fatti che con il ricordo nulla hanno di affine. Ma per quanto immenso sia l'armadio dei ricordi che riusciremo a costruire, sarà misera cosa rispetto all'infinito della dimenticanza». E a questo punto meglio si comprende il titolo: «Il piacere dell'oblio». Una provocazione? Certo, e salutare. Nato appena 24 ore prima, l'articolo di Michele Serra (“Repubblica”, 15/6), precede e affianca Cacciari. Titolo: «La dittatura della presenza» con il suo opposto, il divieto di scomparire. Sembra obbligatorio, stando ai social, mettere in piazza tutto, intime vicende sanitarie comprese. Serra elogia la privacy: «Una scelta personale e perfino esistenziale, un luogo inviolabile non per arroganza, ma per pudore, altra parola antica, o per timidezza, concetto che sembra sepolto nel passato, forse addirittura in sospetto di essere patologico, chissà se ci sono terapie, per la timidezza». Esserci sempre, apparire. Come pure, vedi Cacciari, tutto sapere senza nulla dimenticare, «l'ossessione della nostra specie». Eppure «immensa è la forza della memoria, ma infinita quella della dimenticanza». Per Serra è il «fascino dell'assenza (...). Si può desiderare di non apparire perché si dubita della propria importanza. O al contrario (sublime tentazione) perché la si tiene in così grande considerazione da non gradire il suo pubblico spreco. O infine perché ci si ribella alla dittatura della presenza». E ora, se proprio non potete farne a meno, esibitevi pure.