Rubriche

Il "Popolo" di Donati e il premuroso aldilà della figlia Severa

Maria Romana De Gasperi sabato 19 maggio 2012
Arrivederci, Maria Romana. Ci vediamo, nell'Aldilà. Questo il saluto di una suora dell'Istituto di don Bosco alla fine di un interessante colloquio. Una donna minuta già molto avanti nell'età, che pochi giorni fa ha voluto incontrarmi. Il velo e le bende bianche nascondevano i segni del tempo lasciando liberi due occhi intelligenti e un'espressione serena del viso che poco si adattavano al suo nome di Severa. Ma perché aveva chiesto questo incontro per parlare di cose di un altro tempo che solo in parte potevamo condividere per la diversa età? Figlia di Giuseppe Donati, direttore del giornale il Popolo negli anni della nascita del fascismo, ne portava vivo il ricordo che non voleva andasse perduto. Molti dei suoi pensieri hanno fatto parte qualche anno fa di un interessante libro di Danè e Sangiorgi dal titolo Il romanzo del Popolo, ma oggi lei voleva che dalla sua voce io ascoltassi ancora la storia dei rapporti di mio padre con il suo. Voleva soprattutto ricordare la penosa decisione dell'espatrio, o meglio dell'obbedienza di suo padre alla volontà del mio, costretto per salvargli la vita ad aiutarlo sulla strada dell'esilio. Era il periodo dell'assassinio di Matteotti, delle intimidazioni ai rappresentanti dei partiti antifascisti, dei continui sequestri del giornale, (47 ne ebbe a subire solo nell'agosto del 1924). Donati rientrò in Italia una sola volta per rivedere la famiglia. Suor Severa ricorda la gioia di avere vicino il suo papà anche se non usciva mai di casa. Lei aveva quattro anni appena e si chiedeva come mai non potesse uscire a passeggio con lui. Passarono venti giorni. Non lo rivedrà più. La fine di quest'uomo che aveva combattuto con le parole e con gli scritti in difesa dei principi di libertà è stata molto dura e dimenticata. Dall'esilio francese si era sempre preoccupato che gli amici in Italia lo aiutassero a mantenere la sua famiglia, per sé non aveva chiesto niente neppure quando scriveva a Sturzo, altro esiliato: «Non ho scarpe, non ho cappello, non ho biancheria, ... a furia di rattoppi sono diventati cenci gli abiti che ho indosso». Morì giovane e povero. Ricordo che troviamo nel volume sopra citato, dove si affronta con profondo esame la situazione degli uomini dell'esilio, le loro sofferenze e delusioni. Nel marzo del 1927 De Gasperi viene arrestato e condannato a quattro anni di carcere. Il Parlamento è chiuso, la libertà di stampa finita. Un velo oscuro viene a coprire qualsiasi speranza di democrazia. Bisognava aspettare venti anni per risorgere ed è a questi uomini, alla loro tenacia, alla loro morte dimenticata che dobbiamo la ricostruzione di un Paese distrutto non tanto dalle macerie della guerra, quanto da quelle più profonde che avevano fatto dimenticare la bellezza e la fatica della libertà. Arrivederci, sorella Severa, come vuoi tu, nell'Aldilà.