Il blogger condannato a morte: un'altra specie di digital divide
Riprendo qui la notizia perché tutte le fonti qualificano Mkhaitir come un blogger, sebbene, secondo "Freedom Now" ( tinyurl.com/hupkj2a ), quello che l'ha fatto arrestare fosse il primo post del suo blog, dopo una precedente "carriera" su Facebook), e allora vale la pena mettere a fuoco la differenza, non banale, tra fare il blogger là dove la libertà di espressione è comunque garantita e farlo dove il potere politico, spalleggiato o meno da quello religioso, non la garantisce affatto. Dovremmo prendere, dunque, meglio coscienza di un aspetto del digital divide che non avevamo considerato: quello che, a parità di tecnologie a disposizione, rende comunque diversi i ricchi (di libertà, in questo caso) dai poveri, e anche chi usa i social network in zona di guerra (e a quanto sappiamo anche a fini di guerra) da chi li usa in tempo e in luoghi di pace. E magari mostrarci grati per le condizioni favorevoli in cui possiamo esprimerci online: ad esempio, praticando un po' di automoderazione, specie se postiamo su argomenti sensibili come quelli che hanno a che fare con la religione.