Amo molto i libri, ma non sono bibliofilo. I libri mi piace leggerli, non collezionarli. Apprezzo la modesta brossura Sellerio dei Saggi di Francesco Bacone (euro 7,75), e non rimpiango la preziosissima edizione 1598 dello stesso libro che sprofondò nel naufragio del Titanic con il suo proprietario, il miliardario Henry Widener che l'aveva appena acquistato dall'antiquario londinese Bernard Quaritch. Mi piacciono, semmai, i libri autografati. Tengo molto a La terra impareggiabile che Ungaretti mi dedicò il 20 luglio 1961, o alla frase affettuosa che Ennio Flaiano mi scrisse sull'einaudiano Un marziano a Roma.Il mondo visto dai libri, di Hans Tuzzi (Skira, Ginevra-Milano 2014, pp. 160, euro 15) è libro per bibliofili scritto da un bibliofilo, e m'interessa di meno. Non che manchino informazioni e date utili. Un capitoletto, per esempio, è dedicato alla Fiera del libro di Francoforte, iniziata da Sigmund Feyeraben (1528-1590), che si svolse fino al 1749, per rinascere nell'Ottocento e rilanciarsi definitivamente nel Secondo Dopoguerra. Il carattere di stampa inventato da Claude Garamond, e che tuttora porta il suo cognome, fu utilizzato per la prima volta nel 1531, mentre il Times New Roman (il mio preferito) fu disegnato da Stanley Morison nel 1931. Buono a sapersi. Quello che un po' disturba nelle raffinatezze editoriali descritte da Tuzzi, è il prezzo che le accompagna. Il primo libro proveniente dall'America, The Whole Book of Psalmes, stampato a Cambridge, Massachusetts, nel 1640, fu acquistato nel 2013 per 14milioni e 165mila dollari; una prima edizione dell'Ulysses di Joyce, completa di bozze di stampa corrette dall'autore, è stata pagata un milione di dollari. E chi avrebbe il coraggio di leggere le Rubaiyyàt di Omar Khayyam nella traduzione di Edward Fitzgerald (1859), «in una legatura a coda di pavone con oltre mille pietre preziose montate in oro dai londinesi Sangorski & Sutcliffe»? Solo a prenderlo in mano si avrebbe paura di sgualcirlo. Peraltro, un caso solo teorico, perché anche quella meraviglia è affondata col Titanic. Collezionare libri di gran pregio per non leggerli, è come acquistare quadri per metterli nella cassaforte della banca. Divertente il capitolo sui libri inventati, gli pseudolibri. Borges era maestro nel recensire libri inesistenti e citare autori immaginari. Tuzzi però non cita Mirabiblia, lo stravagante “Catalogo ragionato di libri introvabili”, di Paolo Albani e Paolo della Bella, pubblicato da Zanichelli nel 2003, e di cui scrivemmo in questa rubrica il 31 agosto 2005 (non pretendo che qualcuno se ne ricordi). I due eccentrici autori elencarono libri inesistenti corredandoli di citazioni strampalate eppur desunte da libri reali, debitamente citati nella bibliografia. Per esempio, ecco la citazione da un taccuino in cui un tale Peter Kien annotava tutto ciò che voleva dimenticare: «23 settembre, ore sette e tre quarti. Nella Mutstrasse ho incontrato un tale che mi ha chiesto dove fosse la Mutstrasse. Per non umiliarlo io non gli ho risposto. Lui non se n'è dato per inteso e ha ripetuto più volte la sua domanda: il suo comportamento era cortese. A un tratto lo sguardo gli è caduto su una targa stradale e s'è reso conto della sua stupidità. Anziché allontanarsi in gran fretta, come avrei fatto io al suo posto, abbandonandosi a un eccesso di collera m'ha insultato nella maniera più grossolana. Se non avessi avuto riguardo per lui all'inizio, mi sarei risparmiato una scena così penosa. Chi è stato il più stupido?». Ebbene, la citazione è tratta testualmente da Auto da fé, di Elias Canetti, Adelphi, 1981, p. 25. A pagina 104, Hans Tuzzi inventa un superlativo che anch'io adotterò: «rarerrimi», meglio del prevedibile «rarissimi».