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I videogiochi e la piaga che l'Italia non vede

Gigio Rancilio venerdì 12 giugno 2020
Tanti adulti considerano i videogiochi solo una perdita di tempo. Una sorta di «industria del niente» che ruba e inghiotte il tempo dei ragazzi. Ma è una semplificazione e, come tutte le semplificazioni, rischia di mandarci fuori strada. A partire dal fatto che ormai è ampiamente dimostrato come anche una quota molto importante di adulti giochi regolarmente. Secondo l’ultimo rapporto pubblicato ad aprile da IIDEA, l’associazione che rappresenta l’industria dei videogiochi in Italia, nel 2019 hanno giocato 17 milioni di italiani. Tra questi, 2,3 milioni avevano tra i 35 e i 44 anni e 3,9 milioni tra i 45 e i 64 anni. In totale, secondo il rapporto, il 39% degli italiani tra i 6 e i 64 anni gioca e mediamente per 7,4 ore la settimana. Il giro di affari in Italia, nel 2019, è stato di 1 miliardo 787 milioni di euro. Nel mondo il mercato dei video game coinvolge 2,5 miliardi di giocatori (circa il 43% delle persone tra i 6 e i 64 anni) e, nel 2019, ha generato oltre 152 miliardi di dollari di ricavi (+9,6% rispetto all’anno precedente). Ora che abbiamo inquadrato meglio il fenomeno, abbiamo davanti tre aspetti importanti. Il primo è che, ci piaccia o meno, il mondo dei videogiochi sarà sempre più importante. Secondo alcuni esperti, per capire l’evoluzione di Internet, dobbiamo guardare a fenomeni come Fortnite, con i suoi 350 milioni di giocatori. Luoghi non più solo di gioco, ma che ospitano concerti, show e tanto altro. Veri e propri mondi a parte nel mondo digitale. Non è un caso che il capo di Netflix abbia dichiarato che il concorrente al quale guarda con più attenzione e timore non sono né le tv né le altre piattaforme video, ma giochi come Fortnite. Anche per questo non dobbiamo chiudere gli occhi davanti ad alcuni problemi del mondo dei videogiochi. Il primo è quello della possibile dipendenza dei giocatori, che non solo è ormai dimostrata ma colpisce anche gli adulti. Una piaga che il periodo di isolamento che abbiamo passato ha fatto crescere, considerato che il tempo dedicato ai videogiochi è aumentato mediamente del 63%. Secondo aspetto: i ricatti psicologici contenuti in molti giochi (anche quelli apparentemente innocui di calcio) che spingono i giocatori non solo a impegnarsi sempre di più ma a spendere soldi veri per migliorare la propria squadra o il proprio personaggio, acquistando le cosiddette “casse premio”, gli speciali pacchetti che contengono alcuni oggetti e migliorie di gioco, distribuiti però in maniera casuale. Un fenomeno esploso negli ultimi anni e che è diventato una delle principali fonti di incasso per i produttori di videogiochi, visto che il Governo inglese ha stimato il giro d’affari mondiale di questi extra in 25 miliardi di euro. Cosa c’entra il Governo inglese? Tanto, visto che ha appena deciso di intraprendere una battaglia contro le casse premio o «loot boxes». Secondo quanto riporta il quotidiano inglese “The Guardian”, il Dipartimento per il digitale, la cultura, i media e lo sport del Governo britannico potrebbe decidere di classificare tutti i videogiochi in cui sono acquistabili «loot boxes» come gioco d’azzardo, rendendoli di fatto vietati ai minori di diciotto anni. Un gesto eclatante per proteggere i più giovani e i più deboli. Il Regno Unito non è il primo Paese a muoversi in questa direzione. Il Belgio li ha già resi illegali, mentre la Cina obbliga le case produttrici a comunicare, come avviene per i biglietti della lotteria, le probabilità di trovare specifici premi in queste casse. Come ricorda Agi, «negli Stati Uniti gli store digitali anche in assenza di una legge specifica chiedono da tempo agli sviluppatori una maggiore trasparenza sul contenuto di queste casse». E in Italia? In Italia non c’è praticamente alcuna iniziativa o dibattito su questa piaga. E quando, due anni fa, alcuni Paesi europei e gli Usa aprirono una commissione sul problema, il nostro Paese non partecipò.