Non avrebbe continuato neanche un giorno a fare il pastore, se non ci fossero stati nella Bibbia "i versetti della gioia". Papà li chiamava così. Sono tutti quelli che cominciano con "State sempre lieti", "Gioite nel Signore", "Cantate canti di gioia". Un giorno papà era tanto triste e si mise a contarli. Sono 800! Diceva che se Dio si era dato pena di esortarci per 800 volte ad essere contenti, doveva essere importante.
Verso la fine degli anni Ottanta suscitò grande clamore il libro Versetti satanici che attirò sul suo autore, l'indiano Salman Rushdie, i fulmini dei fondamentalisti musulmani. Ora, invece, mettiamo in scena i "versetti gioiosi" della Bibbia, attingendo a un romanzo popolare pubblicato nel 1912 da Eleonora Porter, Polyanna. È la storia, un po' lacrimevole e un po' lieta, di una bambina, orfana a 11 anni, affidata a una zia di matrice puritana. Nel passo da noi citato Polyanna evoca con nostalgia la figura del padre, pastore protestante, capace invece di superare l'amarezza e il rigore, ritrovando le radici bibliche della gioia, gli 800 versetti in cui le Scritture ci invitano a scoprire e a vivere la felicità.
Effettivamente spesso si ha la convinzione che la Bibbia sia così seria e persino seriosa da tollerare a malapena la gioia. Nel Medio Evo del Gesù dei Vangeli si diceva: flevisse lego, risisse numquam, «leggo che egli pianse, mai che egli rise». In realtà l'annunzio di Cristo è il "Vangelo" che in greco significa "bella, buona notizia" e la pagina ultima della storia di Gesù è quella gloriosa e festosa della Pasqua, come la speranza cristiana è tutta nell'ultima pagina dell'Apocalisse quando si attende che Dio cancelli le lacrime dagli occhi. Perciò, «rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora, rallegratevi!» (Filippesi 4,4).