I trucchi della politica sui social raccontati da dentro
Che la politica sia diventata sempre più social e digitale non è una scoperta recente. Sul tema esistono interessanti tesi di laurea e saggi. Ma non mi era mai capitato di imbattermi in qualcuno che, dopo aver lavorato sul campo per un politico, mettesse nero su bianco ciò che aveva fatto o analizzato durante una campagna elettorale social.
Tanto di cappello, quindi, a Fabrizio Martire che ha deciso di raccontare su Medium (una piattaforma di pubblicazione online creata dal cofondatore di Twitter) la sua esperienza, mettendo semplicemente in fila alcuni appunti presi durante la campagna delle comunali 2018, fa emergere molti retroscena inediti ai più.
Iniziamo da un'amara conferma: sui social le fake news e le mezze verità funzionano meglio di proposte, dati e spiegazioni. Non serve avere a disposizione Cambridge Analytica per ottenere dei risultati in grado di convincere un po' di elettori indecisi. Spesso non serve nemmeno mentire. «Basta "condire" la verità per generare fiumi di condivisioni, commenti e disprezzo». Uno dei contenuti più visti e commentati durante la campagna bresciana analizzata da Martire era una fake news abilmente rilanciata. E le risposte degli sfidanti politici, fatte di dati e spiegazioni «non hanno minimamente scalfito la rabbia di chi aveva deciso di credere alla falsa notizia».
Altri esempi vincenti usati dai più scorretti sono «distribuire sondaggi senza alcun supporto scientifico o criminalizzare la normalità, fotografando una qualunque persona di colore, spacciandola poi per un criminale». C'è chi è persino riuscito a raddoppiare il numero dei propri fan su Facebook in una notte, aprendo diversi profili privati dai quali chiedere amicizia a migliaia di persone, per poi far confluire tutti gli amici raccolti nel profilo pubblico del candidato politico.
Altro «trucco», usato da molti anche in ambito nazionale: rubare contenuti video dalle TV pubbliche o private e rilanciarli dal proprio profilo. Ovviamente si tratta di un furto e di una palese violazione del copyright, ma in questo modo tra condivisioni e visualizzazioni si ottengono moltissime interazioni social che fanno crescere il potere di diffusione della pagina del politico. Altra strategia truffaldina ma molto usata: «se il contenuto social di un concorrente politico sta funzionando troppo bene, bloccalo usando l'odio». Come? Bastano poche decine di profili falsi che lascino commenti volgari e di totale odio politico tipo «muori tu e tutti quelli come te».
Spiega Martire: se in mezzo a mille persone che stanno commentando educatamente butti 100 troll (i provocatori del web) che gridano alla morte, allo sdegno e alla rovina, i primi mille smetteranno di discutere». Non serve nemmeno che siano persone vere.
Fateci caso, suggerisce il nostro esperto: chi commenta in modo violento quasi sempre usa nel proprio profilo un'immagine non reale, ha un numero di amici molto esiguo e sulla propria pagina non pubblica da mesi contenuti.
Per far funzionare il profilo social di un politico c'è anche un trucco che non immaginereste mai: bisogna fare molti errori. Errori di battitura ma anche grammaticali e persino errori visuali. Penserete: ma a cosa può servire scrivere qualcosa di sbagliato o mettere sul suo profilo social la foto di un ministro in mezzo a dei carabinieri mentre il suo post fa i complimenti alla polizia?
Serve. Perché i fan del politico «non noteranno l'errore o tenderanno a sottostimarlo», mentre chi lo contrasta diffonderà il messaggio sottolineandone lo svarione, ma in questo modo lo farà arrivare anche ad un sacco di utenti "neutri" che lo apprezzeranno aldilà della correttezza grammaticale o visuale del contenuto.
Come contrastare questa deriva? La risposta deve arrivare da giganti come Facebook. Perché, chiosa Martire, «finché il social di Zuckerberg chiederà soldi per promuovere l'apertura di una biblioteca ma renderà gratuitamente virali notizie false o post che incitano all'odio, avremo di fronte un grosso problema per la democrazia».