I topi e i conti con Ugo sotto lo sguardo del cane
– Figurati, esordì Ugo con delicatezza, come se riprendessimo una conversazione interrotta poco prima, figurati che ho trovato delle spighe di grano in un erbario dei Flumi. Ce n'era in questa regione, prima che non lo facessero scomparire in una delle loro descrizioni complete. Ho potuto ricavarne abbastanza grano per un'ostia. E poi ho fatto del vino con quello che ho racimolato dalle viti silvestri che crescono un po' dappertutto. Sono chicchi molto acidi, ma andrà molto bene per il sangue di Cristo…
– E il cane?
– L'ultimo o il penultimo della sua razza… Avevano finito il grosso libro che lo glorifica. Erano quasi pronti a farlo allo spiedo sulla piazza delle feste. L'ho tirato fuori dalla sua gabbia, gli ho dato un po' di topi arrosto, e ora mi segue dovunque come il suo padrone… L'ho chiamato Ignazio…
– Ignazio! esclamai senza riuscire a non ridere in mezzo alle lacrime.
– Sì, fece Ugo partecipando della mia improvvisa allegria, è il solo cristiano che sono riuscito a fare.
Da tanto tempo non avevo pianto così. Da tanto tempo che non avevo riso così. E da ancor più tempo non avevo pianto dalle risate. Probabilmente dalla mia gioventù e dal noviziato. Era la prima volta del resto che con Ugo ridevo di cuore, come un bambino, e forse ero veramente diventato come un bambino davanti a quello che ancora qualche minuto prima ero certo di avere assassinato, era forse questo un assaggio del paradiso in ciò che c'è di più dolce e di più duro al tempo stesso: trovarsi di fronte a quelli a cui abbiamo fatto del male, quelli che avevamo provato a eliminare dalle nostre vite, e accettare che ormai la gioia possa accaderci solamente attraverso di loro… E chi sa se non ci saranno dei cani ad assistere alla scena - sollevare su di essa occhi abbastanza innocenti, e battere con la coda la misura di una felicità molto semplice, come divertirsi con un topo morto? Ignazio aveva finito per posare per terra il suo topo e aveva contemplato il nostro incontro tirando fuori la lingua, aspettando che tornassimo a occuparci di cose serie: lanciare una palla, preparare topi arrosto, fare una passeggiata, grattagli la parte posteriore della testa…
– Ho esplorato i dintorni, riprese Ugo dopo che c'eravamo un po' calmati. C'è una grande città a cinque giorni da qui. Sta su una montagna, forse su una frontiera. Alcune persone laggiù mi hanno parlato di una strada che porta fuori dalla Metagonia. Ecco perché sono ritornato a cercarti. E poi non volevo celebrare la messa senza di te…
– Bisognerebbe… bisognerebbe innanzitutto che mi confessassi… credevo, lo ammetto, di averla fatta finita con queste cose… il sacerdozio… la comunione… È tutto in queste pagine che ho scritto. Dopo di che, vedrai se puoi darmi l'assoluzione, e io li brucerò.
– Lascia che sia io a confessarmi per primo. Non penserai che non ne abbia bisogno almeno tanto quanto te. Il tuo naso me lo ricorda.
– Il mio naso?
– È storto, adesso. Sono io che te l'ho rotto
– Ah? Non me n'ero accorto!
Dovevo avere una vera faccia da tonto nello sbirciare quel naso che non conoscevo e che si trovava nel mezzo della mia faccia, perché ricominciammo una grande risata, molto sonora e molto stupida.
Non si spense progressivamente questa volta. Una domanda, l'appello in me di un'altra esultanza, più profonda, attraversò di colpo la nostra euforia.
– Allora è vero? Ci sono cose che cominciano dopo che è troppo tardi?
– Potrebbe proprio essere…
Il cane sentì le nostre due confessioni con i suoi due orecchi cadenti, poi si sdraiò durante la messa. Al momento dell'elevazione, si tirò su, credendo che stessimo per gettargli i una palla bianca. Quando si accorse del suo errore, si appiattì per terra, il muso tra le zampe, in una posizione molto edificante.
(39, continua. Traduzione di Ugo Moschella)