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I terremoti, le vittime i Premi Nobel e gli allocchi

Pier Giorgio Liverani domenica 3 maggio 2009
Tutto è buono per parlar male dei Papi, anche i terremoti. In una sua storia, assai terremotata, dell'Aquila pubblicata su Il Manifesto (30 aprile), Dario Fo, usando come fonte «un cronista che s'è tenuto anonimo» e confessando che, pur essendosi «dato alla verifica», non ha verificato «niente», ricorda il terremoto che distrusse la città il 2 febbraio 1703. Secondo le sue fonti, che non cita, ci furono «oltre diecimila morti e più di trecentomila feriti» mentre «il 50% dei sopravvissuti», cioè altri 150mila (totale 460mila), «emigrarono». Fo non ha avuto un Nobel in matematica e quando dà dei numeri si può dubitarne: infatti L'Aquila ha raggiunto i 70.000 abitanti e l'intera provincia i 300mila soltanto alla fine del secolo scorso. Fo afferma anche che «gli storici parlano di scosse che raggiunsero i 10 gradi della scala Mercalli», ma il sismologo Giuseppe Mercalli visse dal 1850 al 1914. Poi riprende dal suo anonimo la fola secondo cui, per ripopolare la città, papa Clemente XI avrebbe detto: «Ci rivolgeremo ai nostri più stretti collaboratori. La Chiesa è ricca di giovani suore e di seminaristi nonché preti appena consacrati: saranno loro la nuova linfa di Gerusalemme... sì, voglio dire de L'Aquila», cosicché «i nuovi aquilani sono figli di frati e sante». Sapendo, però, di averla detta grossa, Fo tenta di coprirla: «Vuoi vedere che quel cronista che ci ha fornito 'sta folle testimonianza se l'è del tutto inventata per allocchirci di scalpore?». Se è una scusa, è fiacca: gli allocchi sarebbero lui per primo, che l'ha presa sul serio, e poi i lettori del Manifesto, cui l'ha destinata.

CERTIFICAZIONI
Sul Venerdì di Repubblica (1 maggio) Michele Serra risponde a una lettrice di Bologna che si lamenta perché, a scuola, suo figlio, nell'ora alternativa a quella di religione, deve subirsi lezioni di Corano: «Per chi vorrebbe crescere senza religione, in questo Paese la scelta non è contemplata», dice la madre che si sentiva finita dalla padella nella brace. Serra risponde che «ci si può sentire parte del cielo anche senza la certificazione di un prete o di un imam». Però quel Venerdì annuncia l'imminente uscita del primo dei tre volumi della Bibbia allegato a Repubblica e Espresso: «Il libro dei libri: scritto per volontà divina e con il timbro della Cei». Anche L'Espresso, su cui Serra ha una rubrica fissa, l'annuncia con un articolo bello davvero di Sandro Magister, che la presenta a chi la conosce poco o niente: «Le divine parole crescono con chi le legge», diceva san Gregorio Magno. La «certificazione» almeno della Bibbia è necessaria per capire che cosa sono il cielo e l'uomo.

RIVOLUZIONI
«Che cos'ha di diverso l'Italia dalle altre nazioni moderne?» si chiede Armando Massarenti, giornalista un po' filosofo del Sole 24 Ore (26 aprile), che rimpiange la Magna Charta degli Inglesi, i Francesi e i Nordamericani «con le loro Rivoluzioni di stampo illumini-
stico». A noi Italiani, si risponde, «manca un mito fondatore universalmente condiviso». Si dev'essere dimenticato della rivoluzione cristiana, che ha pervaso e l'Italia prima e l'Europa poi, tanto che gli atei, per definirsi, debbono partire da Dio, gli anticlericali dal clero (in greco kleros, cioè eredità di Cristo), i laici da una parola cristiana (laikòs, membro del popolo di Dio), il comunismo che qualcuno chiama-
va chiesa e persino le bestemmie che parlano di Dio e dei Santi...