Rubriche

I segni di libertà di padre Maccalli

martedì 8 ottobre 2024
Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Proprio quello che l’amico e compagno di viaggio padre Pierluigi Maccalli ha cercato di fare come missionario in Costa d’Avorio prima e nel Niger poi. Rapito da elementi della nebulosa jihadista il 17 settembre del 2018 è tornato in terra nigerina, senza catene, la stessa data ma sei anni dopo. In una lettera di commento al suo soggiorno di dieci giorni a Niamey, ospite gradito e inatteso per la circostanza, scrive tra l’altro... “La popolazione locale (specie di Bomoanga) è presa tra due fuochi: da una parte le incursioni a carattere jihadista e dall’altra i militari che diffidano di tutti e rastrellano gente accusate di collaborazione. Tra di essi il mio catechista e suo fratello: sono da mesi in prigione con l’accusa gratuita di essere parenti alla lunga di un sospettato. La gioia del ritorno si è trasformata presto in amarezza e tuttora custodisco in cuore tanta tristezza. Confesso che l’incontrare tante persone care, dimagrite di peso e dal volto scavato dalla sofferenza, mi ha fatto tanta pena e mi ha molto rattristato”. Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François e l’abbiamo potuto constatare con l’amico Pierluigi. Proprio tra le zone più colpita dalla violenza religiosa, dove è stato rapito un prete, vandalizzata la nuova “Basilica dei poveri”, da dove la gente fugge perché minacciata... proprio di questa zona sono originari i due nuovi preti della diocesi. La loro ordinazione è stata il “pretesto” per padre Maccalli per tornare, con le parole dell’ambasciatore italiano a Niamey, sul “luogo del delitto”! Tornato a casa piuttosto, faceva osservare Pierluigi che il “luogo del delitto” lo ha vissuto come vittima innocente e inerme per oltre due anni. Ci si ricordava dei tre segni che ha portato con sé dalla prigionia nel deserto del Sahara: una piccola croce di legno, un rosario confezionato con stoffa di fortuna e un anello della catena che l’ha custodito ogni notte per il tempo passato in cattività. Ma c’è un quarto segno che Pierluigi non ha menzionato nel suo scritto post prigionia... “Catene di libertà”. Dio non è serio ma fa le cose seriamente. Così diceva François, prete della diocesi di Niamey di origine togolese che da muratore si è messo a costruire cristiani. Ed è questo il quarto segno che Pierluigi ha portato a Niamey, dal 17 al 27 settembre scorso. Lui stesso, senza volerlo o saperlo è stato il quarto segno di libertà nel tornare a casa dalla gente che per lui ha sofferto, pregato, sperato e atteso. Il suo popolo rideva, ballava, piangeva e cantava come solo i poveri sanno fare quando fanno festa. Perché Pierluigi e il suo popolo erano tornati liberi e più nessuno potrà mettere in catene la speranza. Niamey, ottobre 2024 © riproduzione riservata