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I sacrifici umani di embrioni destinati al culto di un idolo: la Scienza

Pier Giorgio Liverani domenica 1 giugno 2014
C'è un paragone tra «religioni» antiche e moderne, che a qualcuno sembrerà assurdo e bigotto ed è, invece, tristemente vero e meritevole di essere messo in evidenza. Intendo il paragone tra l'antica religione mesamericana degli Aztechi dell'America centrale e la nostra sempre più diffusa «religione» totalitaria e idolatra della scienza. La prima, antichissima, ma durata fino all'arrivo dei colonizzatori europei, prescriveva come necessario per la vita del tempio il sacrificio umano sia di membri della comunità sia di nemici: il tempio, credevano, aveva bisogno di assorbire la «forza invisibile» dei corpi con i quali si «alimentava». Gli Aztechi pensavano che l'essere umano fosse dotato di un'anima composta di diverse entità, ognuna con attributi particolare, compresa un'energia impersonale che poteva andare bene anche al tempio. Oggi la dittatura di una scienza utilitaristica, che guarda solo ai risultati senza preoccuparsi dei mezzi e dei costi umani, esige il sacrificio degli embrioni «nell'interesse della salute, benessere, prosperità e coesione sociale di tutti i cittadini d'Europa». Lo dice un comunicato della «Lega delle ricerche universitarie d'Europa», citato sull'Unità (venerdì 30) in un articolo in cui il prof. Maurizio Mori, presidente della laicistica "Consulta di bioetica", celebra il blocco che l'Europa politica ha deciso dell'iniziativa popolare "Uno di noi", per porre fine ai finanziamenti delle ricerche sperimentali sugli embrioni umani. Il paragone non è assurdo né bigotto e risulta valido se si considera la comprensibile differenza tra la brutalità dei sacrifici cannibaleschi degli Aztechi e la raffinatezza tecnica degli esperimenti nostrani che, senza spargimento di sangue e senza visibilità della forza invisibile degli embrioni umani, sacrificano tanti "uno di noi" a una scienza assai poco umana: corpi minuscoli ma ricchi di energia vitale gli embrioni di Mori e corpi adulti quelli degli Aztechi che sacrificavano "uno di loro" «nell'interesse del benessere» della loro comunità.COME SI VA IN CIELOUn articolo su Repubblica del 29 aprile scorso annunciava che «la Bibbia è smentita dagli archeologi israeliani» e preoccupa Guido Ceronetti che, un mese dopo (29 maggio), scrive: «Non cercate la storia leggendo la Bibbia». Ha ragione, ma non è una novità. Le Scritture non sono testi storici, ma teologici, che, su uno sfondo storico a volte molto approssimativo, raccontano non la storia dell'uomo, ma quella della salvezza e del rapporto dell'uomo con Dio. Lo sapeva anche Galileo Galilei nel suo tempo (secoli XVI e XVII) tant'è che spesso diceva; «La Scrittura non ci insegna come vada il Cielo, ma come si vada in Cielo».LA GENERATRICEUn padre separato e con un figlio, ne vorrebbe un altro e pensa di cercare un utero disponibile all'affitto, ma dubita e scrive al Corriere della sera: «Non trovo giusto che un bambino non abbia una figura materna di riferimento. Replica la responsabile della rubrica "Tempi liberi": «La maternità ormai è stata esternalizzata, insomma è solo un passaggio dall'utero. Fare un figlio è un processo che non attiene più all'amore di due persone, riguarda invece la felicità e la realizzazione individuale. Il punto è che così il concetto di maternità diventa secondario e prevale quello di generazione». Sembra un'amara costatazione. Invece no: «Significa per noi donne mettere in discussione tutto quello che ne deriva, compreso l'enorme potere che ne è sempre disceso e che è anche l'unico che finora abbiamo mantenuto stabilmente senza averne conquistato mai un altro. Siamo pronte a essere puramente eventuali generatrici di vite?».