In un testo scritto poco prima di essere ucciso dalle Br, Roberto Ruffilli affermava che «bisogna impegnarsi nella sfida per costringere le forze politiche a esplicitare la portata effettiva dell’apertura a una ricerca in comune di “compromessi ragionevoli”». Lo diceva in riferimento alle riforme istituzionali (la citazione è riportata in epigrafe nell’ultimo numero della rivista “Il Mulino” dedicato appunto a questo tema) in una stagione che lo vedeva tra i principali protagonisti. In quanto tale divenne bersaglio della ferocia dei terroristi, un’ennesima, tragica dimostrazione di come le riforme istituzionali non siano un argomento accademico, ma investano il cuore stesso di una democrazia e richiedano di essere affrontare “con mano tremante”, come avrebbe detto Montesquieu.
Nel nostro ordinamento, dalla Costituzione ai regolamenti parlamentari, sono presenti delle regole che dovrebbero servire proprio a spingere le forze politiche alla “ricerca in comune di compromessi ragionevoli”. Sono i quorum di garanzia previsti per assicurare che una decisione o la scelta di una persona per un incarico di particolare rilevanza avvengano con un consenso ampio, superiore a quello della maggioranza parlamentare che esprime il governo. Il loro funzionamento lo abbiamo visto in atto nell’occasione del mancato blitz per eleggere il quindicesimo giudice costituzionale che manca ormai dalla fine dello scorso anno. Superati abbondantemente i primi tre scrutini e il relativo quorum dei due terzi, sarebbero stati necessari i tre quinti dei membri del Parlamento in seduta comune, 363 tra deputati e senatori. Di poco oltre i numeri ufficiali dell’attuale maggioranza che però aveva deciso di effettuare comunque un tentativo confidando evidentemente in qualche soccorso extra nello scrutinio segreto. Per evitare questa manovra le opposizioni hanno deciso di non partecipare al voto e l’operazione è fallita. Ma non è stata una bella pagina di vita istituzionale. La prossima seduta comune è in calendario per il 29 ottobre e vedremo che cosa accadrà nel frattempo. In democrazia ci si conta, senza subbio, ma lo spirito delle norme che stabiliscono quorum elevati soprattutto per organi costituzionali non è quello delle forzature.
Peraltro sarebbe necessaria una riflessione complessiva sull’adeguatezza degli attuali quorum, a cominciare da quello per l’elezione del Presidente della Repubblica, per la quale dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Questa e altre soglie particolarmente importanti sono state fissate quando i sistemi elettorali erano di tipo proporzionale. Già con l’introduzione del maggioritario sarebbe stata necessaria una verifica e a maggior ragione dopo la drastica riduzione del numero dei parlamentari, grande occasione persa per un’accurata manutenzione istituzionale. Il problema si pone con forza oggi, con l’espansione del ruolo delle maggioranze e degli esecutivi a scapito del Parlamento. Una dinamica (o una deriva, a seconda dei punti di vista) che per ora si è sviluppata soltanto di fatto, ma con effetti così decisivi che la questione è diventata urgente anche a prescindere dalla sorte del progetto di premierato. Va da sé che quest’ultima prospettiva richiederebbe interventi ponderati e ineludibili di bilanciamento.
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