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I prodotti si identificano nella storia dei territori

Paolo Massobrio mercoledì 3 maggio 2023
È tempo di asparagi, secondo il calendario agricolo che immette sul mercato questo ortaggio colorato che porta i nomi dei paesi dove è stata conservata una tradizione: Bassano del Grappa (bianco), Mezzago (rosa), Masio (verde). Masio è il mio paese e di produttori ne era rimasto uno, finché 20 anni fa il Comune deliberò la De.Co. (denominazione comunale), per dire che l’asparago faceva parte della storia del paese. Oggi i produttori sono cinque, anche grazie al flatus vocis comunale che ha fissato un valore su cui scommettere. Tuttavia, queste denominazioni identitarie vennero avversate duramente dai burocrati di casa nostra, paventando confusioni rispetto alle Dop e alle Igp, come se avere un nome e un cognome fosse un’obiezione. Ora, sono passati 33 anni da quando le De.Co., grazie all’Anci, hanno fatto capolino con la legge 142 del 1990, poi rilanciate dal gastronomo Luigi Veronelli alla vigilia dell’abrogazione della legge stessa. Ma, secondo Veronelli, la legge costituzionale numero 3 dell’ottobre 2001, delegava ai Comuni la potestà di emettere regole in campo agricolo e quindi la battaglia proseguì anche dopo la sua morte: nel 2005 pubblicai il libro De.Co. la carta d’identità del sindaco, prefato dall’allora ministro per l’Agricoltura Luca Zaia, per contribuire a far chiarezza. Meglio ancora ha fatto la Regione Siciliana con la legge regionale numero 3 del 2022, che ha istituito il registro delle De.Co. contro cui è subito ricorso il Governo precedente, per ricevere, nelle scorse settimane, il rigetto da parte della Corte Costituzionale. Una sentenza storica che sancisce, di fatto, che le De.Co. non sono in conflitto con le altre denominazioni, ancorché non rappresentano un marchio di qualità, ma solo un’attestazione identitaria. Questo pronunciamento è giunto alla vigilia del via libera del Parlamento Europeo al nuovo testo unico che protegge Dop e Igp contro imitazioni e sovrapposizioni di nomi: ulteriore elemento di chiarezza. La Regione Siciliana, giustamente, sa che la ricchezza della propria biodiversità è una fucina che proprio in quei territori sta dando motivazioni nuove ai giovani. Del resto, anche le denominazioni dei vini più pregiate vanno verso le “menzioni geografiche aggiuntive” che portano i nomi dei paesi: il Barolo di Serralunga o il Sangiovese di Predappio. E un po’ somigliano alla premessa identitaria delle De.Co. che, a differenza delle denominazioni europee, non tutelano nulla: sono solo un atto politico, come l’asparago del mio paese, per favorire nuove economie. A questo punto cosa dobbiamo aspettarci ancora dalla mente di chi spinge ad appiattire ciò che continuamente fiorisce? © riproduzione riservata