I PESCI ROSSI
In una fiera di paese, nel territorio ove sono in vacanza, a sorpresa trovo ancora in vendita o come premio di non so quale gara alcune bocce con pesciolini rossi. Non so quanto sia legittimo questo commercio, ma per me — e penso per non pochi lettori — è come una ventata che mi porta i profumi e i colori del passato, quando pullulavano questi mini-acquari che si ottenevano qualora si fosse stati capaci di inserirvi con un lancio a distanza una pallina da ping pong. Ho così cercato il romanzo di uno scrittore ormai dimenticato, Emilio Cecchi, intitolato appunto Pesci Rossi (1920), e ne ho proposto proprio l'inizio che contiene una riflessione acuta.
Quei pesciolini si muovono con eleganza anche in questo piccolo spazio, quasi fossero nell'immenso oceano. Sono, in realtà, prigionieri; eppure essi hanno portato con sé il respiro del mare, delle distese infinite, e i loro arabeschi di nuoto sono come la memoria di quella libertà che è rimasta attaccata a loro, anzi, dentro di loro. È facile sciogliere la metafora. Si può essere condannati su una sedia a rotelle, oppure votati a un'esistenza monotona e ristretta, o persino relegati in una cella, ma l'anima può librarsi oltre, nello spazio infinito del cielo, nella cavalcata della fantasia, nel volo verso altri orizzonti che la lettura o il pensiero rende possibile. La reclusione è prima di tutto una questione dello spirito, come lo è la libertà.