Lo studio dell’Osservatorio socio-politico di Reputation Manager sul conflitto Hamas Israele visto dal digitale, fa davvero effetto. A partire da questo dato: solo su TikTok i video dedicati alla guerra in Medio Oriente hanno raggiunto quasi 99 miliardi di visualizzazioni nel mondo. Come se ogni persona sulla faccia della terra ne avesse guardati 12,3. La società di analisi, gestione e costruzione della reputazione online di aziende, brand, istituzioni e personaggi di rilievo, conferma in peggio uno scenario che in larga parte abbiamo già visto nel conflitto russo-ucraino. Ma con una differenza non da poco: Israele e Hamas sono da sempre campioni della guerra combattuta anche online. E non da oggi. Israele è dal 2006 che ha reparti dell’esercito dedicati alla (dis)informazione via social, mentre Hamas negli ultimi anni ha fatto passi da gigante nell’uso dei social. Per capire meglio la portata del fenomeno, dobbiamo tornare ai numeri. Le visualizzazioni dei contenuti sulla guerra, taggati con diversi hashtag, «hanno raggiunto sui social cifre esorbitanti: 35,6 miliardi per #israel, #40,5 miliardi per #palestine, 11,6 miliardi per #gaza, 5,2 miliardi per #hamas». Ma c’è di più. Spiega Reputation Manager: «Alcuni account postano in modo ricorsivo sempre la stessa tipologia di video, mostrando evidenti forme di sciacallaggio, ad esempio indugiando sulle immagini dei bambini vittime del conflitto per avere successo». E ancora: «Su TikTok (e su Twitter, aggiungiamo noi) sono presenti centinaia di ricostruzioni storiche del conflitto dalle sue origini, ma molte contengono manipolazioni di immagini e fake news». Persino Wikipedia, «l’enciclopedia online, libera e collaborativa», non è stata risparmiata. «La pagina “2023 Israel Hamas war” è stata creata il 7 ottobre, dopo soltanto 20 minuti dall’attacco di Hamas e da allora ha subìto 7.332 modifiche a opera di 770 autori» che spesso hanno cercato di manipolarne il contenuto. Complessivamente nell’ultimo mese le pagine di Wikipedia relative al conflitto hanno registrato 9,9 milioni di visualizzazioni e registrato più di 1.000 modifiche. «Come avvenuto già per il conflitto russo-ucraino, siamo di fronte a una guerra di percezione che si combatte anche sui social network – spiega Andrea Barchiesi, fondatore e CEO di Reputation Manager – accanto all’informazione dei mass media, scorre un racconto parallelo, spesso sotterraneo, estremamente frammentato e incontrollato e che contiene anche disinformazione, contenuti pericolosi e anche illegali». Per esempio, cosa c’è nell’enorme flusso di video su TikTok dedicati alla guerra? «Il social cinese è utilizzato per rilanciare le immagini della guerra, ma non solo. I filoni di comunicazione sono molti. Ci sono account che postano filmati di propaganda praticamente identici, evidentemente realizzati dalla stessa fonte. E ci sono profili che promettono di spiegare “la vera questione israelo-palestinese”. Ma spesso lo fanno con informazioni errate, manipolazioni della realtà e fake news. C’è poi il trend di quelli che potremmo definire “gli influencer della guerra”, ovvero account che postano i video più drammatici al solo scopo di ottenere visualizzazioni. «Questi dati sono una chiara fotografia del fatto che ci troviamo nel pieno della “social war” – conclude Barchiesi – un interesse e un’attività così alti come quelli registrati oggi non hanno precedenti. Il mondo è profondamente cambiato e bisogna fare i conti con questo nuovo scenario». © riproduzione riservata