«Cercate di ricondurre il dio che è in noi al divino dell'universo».Sta per morire. Una malattia che non perdona, forse lebbra, lo ha colpito, inducendolo a lasciare l'amata Roma, trasferendosi in Campania, accudito da fedeli discepoli. È uno dei maggiori filosofi, fondatore del neoplatonismo. Ma lui, Plotino, non ne è consapevole. Si considera solo un bravo studioso e interprete del maestro, Platone. In un periodo, il terzo secolo d.C., considerato dagli storici un'età dell'angoscia (invasioni, guerre, corruzione), l'umile e grandissimo pensatore nato in Egitto rimette al centro del pensiero filosofico la realtà del divino. Che le parole del suo testamento spirituale ci esortano a riportare alla sua totalità. In un'altra età di crisi, che inizia nel Novecento, si affermano due idee distorte. La prima: Dio è morto. La seconda, Dio è in me, e quindi io posso essere Dio. Da cui lo scienziato pazzo, Hitler, Stalin, il manipolatore genetico. Dio non è morto, ma nemmeno si è trasferito in esclusiva nel mio ego. Quel senso del divino che ci visita, e a volte possiede, non è nostro, è un dono. Annulliamoci in questo dono. «Umiliati in un tronco», recita un memorabile verso di Luzi. Torna alla grandezza divina del Tutto. Non sei onnipotente. Scoprendolo non sarai più perduto, illuso e solo.