Il Rabbino capo di Roma prof. Riccardo Di Segni ed Eugenio Scalfari si scambiano su Repubblica (venerdì 7) due lettere aperte. Il primo per spiegare al secondo e ai lettori che «anche quello degli Ebrei è un Dio di misericordia», come è chiaro nelle Scritture e nella tradizione ebraiche, e per osservare che «sarebbe meglio evitare l'espressione "non credenti" senza specificare in che cosa non si crede; altrimenti il parametro della fede diventa la verità cattolica e chi non l'accetta viene inserito in un grigio limbo quali che siano le sue convinzioni» e «a farne in qualche modo le spese è stato l'ebraismo». Vero, ma è anche vero che in Italia il parametro storico di riferimento è il cattolicesimo (anche se oggi non più). Il secondo, cioè Scalfari, giustifica innanzitutto la propria «non credenza» e tenta di mettere la Chiesa in difficoltà sul problema del male. Chiarisce perciò che lui non crede: nell'Aldilà, in nessuna divinità, nell'anima immortale, nel «senso ultimo dell'Aldiqua» e riconosce che tutti tre «i monoteismi credono in un Dio che sia giusto, misericordioso, severo con i malvagi, amoroso con i buoni». Crede, però, nella vecchia tesi del razionalismo, secondo cui «le potenzialità del Dio monoteista» sono frutto della fantasia umana che, desiderandole ma non potendole avere, «attribuisce a Dio ciò che vorremmo per noi», cioè lo rende «profondamente antropomorfo»: è questa «una delle cause della non credenza» e, però, anche la prova di una razionalità debole: dovrebbe essere evidente, infatti, che essendo Dio al di fuori di ogni logica e comprensione umane, queste gli attribuiscono quanto di meglio, giusto e perfetto riescono a immaginare. Ultima questione: se «Dio è soltanto bene», perché «il male esiste»? È vero, il male è un mistero, ma destinato alla sconfitta. Se, però, si pensa che è per amore che l'uomo è stato creato da Dio libero di rifiutare il bene, che la Creazione è tuttora in fieri e che l'uomo contribuisce al suo compimento con il lavoro, il pensiero, l'amore e la fede, anche i misteri del male risultano meno misteriosi di quanto i non credenti credano.CATECHISMO PER GIUDICIChi giudica la Chiesa ricordando che il Papa disse «Chi sono io per giudicare?», dovrebbe studiare il catechismo onde evitare spropositi squalificanti. Il filosofo e psicoanalista Umberto Galimberti, che dalla sua cattedra su Donna (il supplemento di Repubblica), risponde (sabato 1) a un lettore ben preparato in materia di Chiesa e omosessualità. Galimberti gli replica che: 1°, «Nella Scrittura neotestamentaria e nella patristica non c'è alcuna evidenza di esplicite condanne dell'omosessualità»; e 2°, che «Definire "contro natura" l'omosessualità ha come premessa taciuta che "naturale" è solo la sessualità "riproduttiva", per cui sarebbero "contro natura" anche gli atti eterosessuali non riproduttivi». Se dovesse ricapitargli l'occasione di trattare questi argomenti, prima di rispondere legga le Lettere di San Paolo: ai Romani (1,24-27); la Prima ai Corinzi (6,10) e la Prima a Timoteo (1,10). Quanto alla «sessualità non riproduttiva» veda l'enciclica "Humanæ Vitæ" di papa Paolo VI (1968), assai esplicita in materia. E, per favore, non giustifichi l'omosessualità umana con quella di alcuni animali, perché, come tutti i normosessuali, anche i gay sono persone umane. Infine una tiratina di orecchie occorre anche a Natalia Aspesi, scrittrice specialista in fallimenti amorosi, che scrive: «Citando il Vangelo» (!?) «il Papa ricorda l'incontro di Adamo ed Eva e il Signore che dice loro: "È l'inizio dell'amore, andate insieme come una sola carne"».