C’è missile e missile. C’è il missile cattivo che al termine della breve corsa scoppia, arrecando dolore. E c’è il missile buono che sale e sale, su su verso il blu che diventa nero e si riempie di stelle, quelle stelle così lontane eppure così vicine che par di toccarle. Per un giorno, giovedì scorso, i due missili si sono contesi la prima pagina. “Corriere” (17/11): in apertura il missile cattivo: «Missile in Polonia, cala la tensione». Buon taglio medio: «Artemis 1, scattata la missione che ci riporterà sulla Luna» con il nostro decisivo zampino, spiega Giovanni Caprara: «In viaggio anche la tecnologia italiana». Forse facciamo sul serio e non sarà un rapido mordi e fuggi. Sulla “Repubblica” (17/11) Elena Dusi intervista Bernardo Patti, responsabile Esa (Agenzia spaziale europea): «Stavolta andremo per restare». Ai soliti no-tutto e alla loro obiezione falsamente ragionevole – perché buttar soldi per salire su una inutile palla di polvere? – va ricordato, anche se il concetto potrebbe essere ben oltre il loro limitato orizzonte, che la specie umana è fatta per esplorare e osare oltre; le stelle non sono state messe lì dal Creatore, a miliardi di miliardi, solo perché le contemplassimo ma perché andassimo a visitarle; e quanto tempo ci vorrà non importa, sarebbe come fermare un maratoneta al primo metro di corsa perché è troppo lunga. Per vivere abbiamo bisogno di bassa prosa ma anche di alta poesia. Purtroppo il missile cattivo resta e quello buono, dopo giovedì quando si è affacciato in prima pagina solo su “Corriere” (e “Avvenire”), basta, l’abbiamo abbandonato, dopo che la “Stampa” (17/11), nel titolare l’impresa di Artemide, dea italianizzata, sorella dell’Apollo che conquistò la Luna più di mezzo secolo fa, è incorsa in un buffo refuso, un «avverà» con una sola erre, proprio la erre di razzo. Il “Fatto” (17/11) disquisisce a lungo sul missile cattivo, con polemica secondo copione: «Il missile russo è ucraino», con il commento di Fabio Mini: «Un missile chiamato propaganda». Ma Artemide non c’è, come se non fosse un “fatto” ma un’“opinione”.
Razzi a parte, da leggere la lettera al “Corriere” (17/11) del vescovo Camisasca in ricordo dell’amica ebrea Mirjam Viterbi Ben Horin, salvata ad Assisi dai persecutori nazifascisti. Apre il cuore e predispone alle stelle.
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