Il numero 3/2018 di MicroMega esce come almanacco di giornalismo con il titolo: «È la stampa, bellezza! Giornalisti a confronto». In epigrafe del numero viene usata una frase del grande storico francese Jules Michelet pronunciata nel corso della rivoluzione scoppiata a Parigi nel 1848 e poi propagatasi in Europa: «La stampa svolge una missione estremamente utile, estremamente seria e gravosa, quella di una censura permanente sugli atti del potere». Nella prefazione il direttore Paolo Flores d'Arcais sottolinea che «censura» è una parola molto più forte che non «critica» e che «il giornalismo che non segua questa etica viene meno al suo ruolo, al suo compito, alla sua ragion d'essere». Citando poi sia Thomas Jefferson, terzo presidente degli Stati Uniti e autore della Dichiarazione d'indipendenza, sia Joseph Pulitzer, ungherese emigrato in America che ha dato il nome al maggior premio mondiale per il giornalismo, viene precisato che «la stupefacente crescita del potere delle grandi imprese, l'enorme aumento dei patrimoni individuali» sono un pericolo per la democrazia e la giustizia sociale, infrangono le leggi e danneggiano il regime di concorrenza». Il giornalismo deve perciò contrastare «l'offuscamento dell'ethos democratico», cioè «il bigottismo e l'ignoranza delle masse». Se l'etica democratica non è presente e attiva nei cittadini, «anche i più solidi argini costituzionali possono essere abbattuti». Perciò, secondo Pulitzer, «spesso il sommo dovere della stampa è contrastare l'opinione pubblica». Il numero della rivista offre un ricco materiale di argomentazioni (in particolare il saggio d'apertura di Marco d'Eramo su “Invenzione, ascesa e declino del giornale” dal Settecento a oggi). Ma già nelle prime pagine della rivista i problemi di fondo sono chiaramente formulati. Anzitutto due. Il primo: in mancanza di un'etica socialmente diffusa, le istituzioni statali non bastano a tenere in vita una democrazia. Il secondo: il giornalismo non solo si rivolge all'opinione pubblica, ma deve spesso contrastarla, sottoporla a critica. Solo che il pericolo incombente indicato da Marco d'Eramo mette in discussione qualità e valore dell'informazione da oggi al futuro: si tratta infatti del possibile «dissolversi della figura del giornalista», una professione intellettuale minacciata dalla velocità e carenza di mediazioni riflessive che caratterizzano i nuovi media digitali. Non è escluso, credo, che il declino del supporto cartaceo renda più volatili e inconsistenti sia l'atto di leggere che la riflessione. È per questo che il giornalismo su carta dovrebbe diventare più culturale. La semplice informazione la si trova dovunque, mentre la cultura necessaria a interpretarla è un patrimonio di idee da creare e ridiscutere di continuo.