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I giochi e i politici non sono tutti uguali

Mauro Berruto mercoledì 1 aprile 2020
Ci sarà speranza finché per un Viktor Orbán, primo ministro ungherese che ottiene pieni poteri per la gestione della crisi Coronavirus dal suo (aggettivo possessivo) Parlamento, ci sarà almeno un Edi Rama, il premier albanese, con un discorso di centoventi secondi perfetto nei contenuti e nella forma, ha strappato lacrime e cuore a milioni di italiani e ha dato una lezione a mezza Europa, dove la sua Albania ha ufficialmente chiesto di entrare undici anni fa e di cui, per capirci, l’Ungheria è membro effettivo dal 2004. Lo ammetto: ho stima per Edi Rama, un politico anche contestato. E mi colpisce il percorso atipico che lo ha portato a guidare il suo Paese: una storia personale divisa a metà fra lo sport e l’arte, due linguaggi universali. Il cinquantacinquenne premier albanese è stato un ottimo giocatore di basket. Si destreggiava decisamente bene sotto canestro, tanto da riuscire a vestire anche la maglia della nazionale del suo Paese. C’è un aneddoto raccontato da Valerio Bianchini, detto il Vate, sportivo pensante, capace di vincere tre scudetti nel campionato italiano di basket, scrivere meravigliosamente e aprire una libreria. Nell’inverno del 1988 Bianchini era l’head coach della Scavolini Pesaro e, in occasione di un match di Coppa dei Campioni a Tirana contro la Dinamo, incontra il ventiquattrenne Edi Rama, talentuoso giocatore del club a cui è stato affidato il servizio di traduttore per il club marchigiano. Un talento pure quello, visto che anche oggi Edi Rama parla un italiano migliore di tanti italiani. Quel ragazzo, racconta Bianchini, ha l’intelligenza e la sensibilità degli artisti. Infatti si laurea in Belle Arti, organizza tentativi di resistenza contro il regime comunista ed è costretto a rifugiarsi a Parigi dove sogna e prepara il suo futuro da artista (ancora non sa che esporrà alla Biennale di Venezia, a Berlino, a New York), ma gli accadimenti lo richiamano in Patria. Sconfitto Berisha, Fatos Nano, fresco premier, chiede a Rama di entrare nel governo, diventando ministro della Cultura. Nel 2000 Edi si candida come sindaco di Tirana e stravince, mettendo al centro due valori: la bellezza del gioco di squadra e la sensibilità artistica. Una straordinaria operazione da lui fortemente voluta lo porta, letteralmente, a colorare le case della capitale albanese, strappandole al grigio. «Quella vernice sui muri non ha dato da mangiare ai bambini, né si è presa cura dei malati o istruito gli ignoranti, ma ha dato speranza e luce, e a contribuito a far notare alla gente che ci può essere un modo diverso di fare le cose, uno spirito diverso, una sensazione diversa nella nostra vita», dirà Rama che nel suo ufficio tiene un canestro e mazzi di pennarelli. Nei momenti di pausa e distrazione, tira con la sua palla da basket e realizza quei doodle coloratissimi, che volgarmente chiameremmo scarabocchi, e invece grazie al suo talento diventano arte. C’è una sua dichiarazione, precedente a quelle parole che hanno emozionato l’Italia, che sarà importante ricordare quando usciremo da questa situazione: «Le cose sono giunte a questo punto perché i politici in generale, ma soprattutto nei nostri Paesi, ammettiamolo, pensano che le persone siano stupide. (...) La politica è arrivata quasi ad assomigliare a un gioco di squadra cinico interpretato da politici, mentre il pubblico è stato messo da parte come se fosse seduto sui gradini di uno stadio in cui la passione per la politica sta gradualmente facendo spazio alla cecità e alla disperazione. Visti da quei gradini, tutti i politici di oggi sembrano uguali, e la politica è arrivata quasi ad assomigliare a uno sport che ispira più aggressività e pessimismo che coesione sociale e il desiderio di protagonismo civico».