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I Giochi dei “selvaggi” e il razzismo da curare

Mauro Berruto mercoledì 23 ottobre 2024
Centoventi anni fa, in occasione dell’edizione più bislacca dei Giochi Olimpici moderni, quelli di St. Louis 1904, andò in scena anche la saldatura più vergognosa che si ricordi fra sport, razzismo e imperialismo, ahimé, ben rappresentato dell’America di quei tempi. I Giochi, in realtà assegnati a Chicago, vennero dirottati in Missouri su pressione dei responsabili della Louisiana Purchase Exposition, una grande fiera campionaria organizzata a St. Louis che non volevano correre il rischio di perdere qualche visitatore. Con la piena disapprovazione del Barone de Coubertin, che rifiutò di presenziare alla terza edizione della sua creatura, i Giochi furono aperti il 1º luglio e si conclusero il 23 novembre, quasi cinque mesi dopo la loro inaugurazione. Già questa sembrerebbe una stranezza sufficiente, ma occorre aggiungere che la stragrande maggioranza degli atleti non sapeva neppure di essere in competizione per i Giochi Olimpici. La partecipazione, americani esclusi, fu molto limitata e gli Usa si aggiudicarono l’85% del totale delle medaglie messe in palio nelle 91 competizioni previste. Insomma, sarebbe tutto abbastanza grottesco se non fosse che il 12 e il 13 agosto 1904, per raggiungere vette di assurdità mai viste prima, vennero organizzate le cosiddette “Giornate antropologiche”, ovvero competizioni tra “razze inferiori” alle quali, come in uno spettacolo circense, i bianchi erano divertiti spettatori. All’interno della fiera di St. Louis c’era una sorta di “zoo umano”, dove per pochi centesimi di dollaro i visitatori potevano osservare da vicino Ota Benga, il pigmeo del Congo considerato l’anello mancante darwiniano, ma visto che lo sport era protagonista di quella manifestazione a qualcuno venne l’agghiacciante idea di organizzare “gare tribali” di tiro con l’arco, lancio del giavellotto, corse veloci, salti in lungo e in alto, arrampicata su un palo di 50 piedi e lancio della palla da baseball fra indigeni in costume: Sioux, Cherokee, Tehuelche, Cocopa, Inuit, Mongoli, Filippini, Mbuti, Pigmei e altre etnie africane. Tutto finalizzato a dimostrare l’evoluzione dell’uomo dallo stato “selvaggio” alla “civiltà” in una sorta di apologia del darwinismo sociale. Sulle tribune, special guest, il capo Apache Geronimo in persona. Per non farsi mancare proprio nulla, furono organizzate anche gare per fenomeni da baraccone e per anziani, o almeno per coloro che erano considerati tali a quell'epoca, e cioè con un'età di almeno 33 anni. Quei due giorni dell’agosto del 1904 sono considerati universalmente il punto più basso della storia dello sport e St. Louis rappresenta il momento in cui la storia dei Giochi Olimpici rischiò di interrompersi per sempre, a causa di quella vergogna. Non fu così, grazie al cielo. Lo sport dimostrò, durante tutto il XX secolo, anche nei decenni bui del fascismo, del nazismo, durante le Guerre mondiali o durante la Guerra fredda, di riuscire a essere un potenziale strumento di fratellanza e di diplomazia. Tuttavia, 120 anni dopo, siamo ancora qui alle prese con il razzismo, con malsane idee di superiorità, con un desiderio strisciante di ferocia o, nel migliore dei casi, di una sorta di sarcasmo alle spalle di chi pensiamo inferiore. Lo sport in questi 120 anni è stato capace di evolvere, noi un po’ meno. © riproduzione riservata