I giganti digitali cinesi che pochi conoscono
Adesso che le cronache da Taiwan hanno riacceso le luci sullo strapotere cinese sul digitale e sui social, ci rendiamo conto che è una realtà che tende a sfuggirci. Eppure basta scorrere la lista dei 10 colossi mondiali digitali, per scoprire accanto a nomi noti come Apple, Amazon, Facebook e Google, quelli di colossi cinesi come Huawei, leader nella telefonia, il gigante dello shopping online Alibaba, l'azienda del motore di ricerca e dell'intelligenza artificiale Baidu e il gruppo tecnologico Tencent che possiede, tra l'altro, WeChat, la più diffusa app cinese.
Persino TikTok, che è il social più amato dai ragazzi occidentali, è «made in China». Al punto che Trump ha minacciato di proibirlo negli Usa per difendere la privacy degli americani. Non è finita qui. Secondo l'ultimo rapporto We Are Social, uscito a gennaio, tra i dieci social più usati nel mondo ben cinque sono cinesi. Tra questi il re assoluto è WeChat, che con 1 miliardo e 200 milioni di utenti si piazza quinto nel mondo, dopo Facebook, YouTube. WhatsApp e Messenger. Dire che è la versione cinese di WhatsApp è riduttivo. WeChat non solo è un'app di messaggistica, ma permette di gestire pratiche, richiedere certificati, pagare i taxi, restare aggiornati con le notizie, scommettere sugli eventi sportivi, acquistare musica o film e fare decine di altre cose. Il WhatsApp cinese si chiama Tencent QQ, ma tutti la chiamano QQ e ha 730 milioni di utenti. Sempre del colosso Tencent è anche Qzone, che vanta oltre mezzo miliardo di iscritti. È un social che consente agli utenti di scrivere blog , tenere un diario, inviare foto, ascoltare musica e guardare video.
Con oltre 500 milioni di iscritti va molto forte anche Sina Weibo, che è una sorta di ibrido fra Twitter e Facebook.Per capirne la portata, basta ricordare che Twitter in tutto il mondo ha "solo" 340 milioni di iscritti.
Un caso a parte è Tik Tok. Che da noi è quella che conosciamo (successo e ombre comprese), mentre in Cina si chiama Douyin. In pratica, come accade anche a WeChat, esistono due versioni dell'app: quella internazionale e quella nazionale. E di fatto sono due mondi diversi.
Occorre ricordare che in Cina non esistono WhatsApp, Google, Facebook, Instagram e tutto ciò che noi occidentali siamo abituati ad usare nei nostri smartphone. Si può provare ad accedere a questi servizi attraverso l'installazione di una Vpn, cioè una «rete virtuale privata» che cripta il traffico internet e protegge l'identità online, ma la connessione non è assicurata.
C'è poi un altro aspetto molto importante che riguarda il mondo cinese. Quello della libertà. In Cina ci sono argomenti e parole censurate. Quando il governo ha avuto notizia della pandemia scoppiata a Wuhan, ha subito bloccato alcune parole chiave sui social e sulle app di messaggistica così da impedire che medici e personale sanitario dessero l'allarme. Circa un anno fa, Eric Schmidt, capo di Google, a proposito di un suo incontro in Cina con il presidente Xi Jinping e il premier Li Keqiang aveva svelato: «I cinesi sono ossessionati dalla Rete. Per questo approvano nuove leggi che cercano di limitarne la portata, come quella che punisce duramente chi ottiene più di 500 condivisioni delle proprie critiche». Per controllare la Rete il governo cinese paga 2 milioni di persone che lavorano come guardiani del web.
Allora Schmidt non aveva voluto aggiungere altro sul governo cinese. Ma, pur ricordando che dal 2010 Google ha spostato il proprio motore di ricerca "cinese" a Hong Kong per essere più libera, si era detto convinto che «alla lunga i social e il digitale poteranno più democrazia in Cina». Un anno dopo, stando alle sue ultime polemiche con Huawei e non solo, pare non ne sia più così convinto.