Sono giusto settantacinque anni da che una mezza dozzina di suorine lasciavano un convento di Prato per giungere, in accordo con il cardinal Schuster, di Milano, alla abbazia di Viboldone, vuota e abbandonata a se stessa. Riuscirono a presidiare la miseria, facendo di quel luogo una serie di scale a pioli di preghiera verso il cielo. Molto più tardi, l'architetto Caccia Dominioni restaurò, con una bella pacatezza spirituale, il luogo quasi millenario. Quand'ero ragazzo, ricordo che lì si rifugiò l'abate di Monserrat, che era stato confessore del generalissimo Franco ma che non lo aveva assolto più. Più o meno nello stesso periodo, vi dimorò, fuoruscito dalla Spagna, il pittore Español Viñas. Questi dipingeva utilizzando solo due colori: il rosso e il nero, che ovviamente mi ricordavano il romanzo di Stendhal. Era uno spaccone ma la sua pittura mi incantava. Ricordo un suo interno nero della chiesa con l'arco trionfale del presbiterio accennato da un filo di luce rossa. Chissà dove saranno finiti i suoi quadri. Pensavo a tutto questo, l'altra domenica, mentre ascoltavo la lettura di una antologia delle pagine capitolari del monastero e i decenni scorrevano tra le righe. Il flauto poi rimestava i salmi odierni, intanto che il violoncello rammentava invece quelli del passato remoto.