I Flumi e il dovere della memoria
il tutto arricchito da una profusione di commenti finanche sul più piccolo dei suoi comportamenti. «Questo è completo», dichiarò dopo averlo sfogliato per me, lentamente, in silenzio. «Trecentotre pagine in folio! E ce ne sono già di simili per altre milleseicentoquarantotto specie già catalogate a nostra cura! La missione di noi Flumi è quella di essere i custodi della Terra. Siamo noi che dobbiamo stupirci e salvaguardare tutto ciò che Lumos vi ha fatto nascere. Tu anche, del resto, sei una delle sue meraviglie, e noi ti salvaguarderemo, non ti lasceremo scomparire…». Si diresse verso un altro leggio che fece scorrere fino a me: «Lo storno dal ventre d'oro!», esclamò il mio benedettino davanti al ritratto di un passerotto nero dal lungo becco e dal ventriglio davvero dorato. «La Fortuna ti favorisce, è chiaro. È domani il grande giorno, domani lo finiremo. Se riesci a stare in piedi verrai con noi. E se sei troppo debole, potrai perlomeno assistere alla festa del Compimento». Mi fece vedere altre monografie – sul bradipo dalla cresta rossa, il geco a due code, la lampreda fornicatrice, la talpa-lepre dalle zampe a strisce, la… – poi mi presentò alcuni dei suoi confratelli, visibilmente felici di trovare in me uno spettatore interamente conquistato. Accoglievo difatti tutte le loro proposte con quello che poteva essere scambiato per uno sguardo empatico e un vago sorriso di adesione. Ero stato talmente purgato che ormai non ero altro che un semplice ricettacolo. Niente poteva dispiacermi e niente poteva sorprendermi. Ero diventato lo specchio compiacente del bradipo dalla cresta rossa e della talpa-lepre dalle zampe a strisce. I Flumi sono degli enciclopedisti. Amano gli animali e le piante, li osservano con tanta scienza quanto amore, si dedicano a compilarne l'inventario e ad assicurare la loro preservazione. Lumos ha creato la grande diversità del vivente, poi ha creato i Flumi per riunirli nell'immortalità, «condurli al Compimento» e «fare Memoria». Il loro villaggio somiglia a una cittadina universitaria dove le biblioteche spuntano come funghi. Statue dipinte di animali e di fiori rari si ergono su tutte le piazze. Ma al centro della piazza
principale, là dove la popolazione si raduna nei Giorni del Compimento, si distende un grande rettangolo metallico da dove sale continuamente un fumo bianco. Si direbbe al tempo stesso un grosso libro e un grande barbecue. Mi sono chiesto di cosa potesse essere il simbolo: dell'autodafé? dell'incandescenza della lettura? Venne dunque il Giorno del Complimento per lo storno dal ventre d'oro, e io riuscivo pressappoco a stare sulle mie gambe. Mi fu possibile accompagnare lo specialista che mi aveva salvato dell'avvelenamento, insieme a tutto un gruppo di sapienti tra i quali un certo numero di donne. Stavano per dedicarsi alla «scrittura dell'ultima pagina». Non mi aspettavo di niente di speciale. Nel mio stato di essere-cavo, la mia ricettività era senza riserva, e cioè senza resistenza ma anche senza vitalità. Seguivo, ecco tutto, e tutti quei professori erano molto contenti di disporre di un alunno perfettamente docile. Anche, quando li vidi cambiare la loro toga universitaria con un abito da caccia e mettersi a parlare soltanto di trappole, balestre, punte di freccia e tecniche di posta, non rimasi troppo sconcertato. Siccome non ero più molto pesante, mi fu facile camminare a passi felpati. Silenziosamente, il nostro gruppo circondò l'albero dove la settimana prima era stata avvistata l'ultima coppia di storni dal ventre d'oro. Il mio ospite, con un'espressione manifestante piacere allo stato puro, segnalò alla sua assistente che la femmina covava alcune uova. Ella annuì con la stessa aria di sentita soddisfazione. Era un eccellente tiratore. Prese la mira mentre gli altri sussurravano preghiere a Lumos: «Che ciò che viene da te ritorni a te… che ciò che è particolare divenga universale… che ciò che è individuale diventi comunicabile… che ciò che è intrappolato nell'interminabile del tempo sia liberato nell'eterno compimento…». Un solo dardo bastò a trapassare la madre. L'assistente si arrampicò più agilmente di una scimmia per recuperare il nido. Non bisognava far altro che aspettare il ritorno del maschio. L'attesa era raccolta, perfino religiosa. Durò più di due ore, due lunghe ore durante le quali si continuava a invocare Lumos e si ricordava che l'uccello di cui si era in così intensa attesa era l'ultimo della sua specie. Poi tutto si svolse molto rapidamente. Un fischio, una palla nera e gialla che cade. Compresi quello che era appena successo solo quando tutti si misero a piangere.
(37, continua. Traduzione di Ugo Moschella)