Ilettori mi perdoneranno se anche in questo spazio troveranno dei riferimenti al Festival di Sanremo in corso. Il fatto è che, nel grande flusso sanremese costituito da tv, radio, carta stampata e ovviamente Rete è immersa anche l’infosfera ecclesiale, e in specie quella sua quota, preponderante per quantità e capillarità, che si esprime sui social network. Le forme sono le più varie: c’è chi ne parla per professare con fierezza il proprio digiuno festivaliero e chi pratica una sorta di “ramadan”, dichiarando di non aver seguito la prima serata ma di essersi ascoltato, la mattina dopo, tutte le canzoni. E c’è chi – la maggior parte – racconta senza problemi la propria abbuffata di “sorrisi e canzoni”, concentrandosi sui piatti che ha trovato più appetitosi (fino al momento in cui scrivo, certamente il monologo di Giovanni Allevi) e su quelli che gli sono risultati sciapi. Anch’io sto seguendo, in diretta o in differita, le serate del Festival, cercando di ascoltare con attenzione le canzoni per immaginare una mia classifica e gustando i momenti di spettacolo, quando sono tali. Leggo poi con interesse, sul web, i commenti alle une e agli altri in chiave di teologia pop, ovvero quelli che riconoscono la presenza di riferimenti cristiani, o comunque religiosi: l’anno scorso, come tutti ricorderanno, scorgemmo il vescovo Tonino Bello fare capolino nel testo della canzone – poi baciata da un notevole successo – di Mr. Rain. In questo ho anche il mio esegeta di fiducia: è Lorenzo Galliani, firma nota ai lettori di “Avvenire”, che quest’anno sul suo profilo Facebook (
bit.ly/3UtJjjq) ha pubblicato per tempo (30 gennaio) un apprezzato articolo nel quale segnala, nei testi, «i continui riferimenti (certo, talvolta anche banalotti) a elementi religiosi».
Riferimenti religiosi nei testi
Elementi religiosi che non mancano – anche se non predominano – in un gustoso post in cui Gianluca Furnari (
bit.ly/3UA6WXz), latinista, insegnante e poeta (“Vangelo elementare” il titolo di una sua raccolta del 2015) trasforma le canzoni in gara in «opere latine dell’età moderna». Si va da “Ut verum dicam”, confessioni di una clarissa in fin di vita (“Sinceramente” di Annalisa) a “Ego tibi, tu mihi”, preghiere coniugali per rafforzare il matrimonio (“I p’ me, tu p’ te” di Geolier), e da “De veste aurea”, trattatello allegorico sulla Trasfigurazione, (“Tuta gold” di Mahmood) ad “Agedum”, parenesi per fedeli pigri (“Vai” di Alfa). Personalmente ho apprezzato più di tutti i titoli del magistero: il trattato «De rebus caducis» (per “Fragili” de Il Tre) che il card. Lotario dei conti di Segni, forse già eletto papa Innocenzo III, avrebbe scritto come prosecuzione del suo “De contemptu mundi”, e la bolla “Reficiamus omnia” (per “Ricominciamo tutto” dei Negramaro) che un altro papa medievale avrebbe dedicato a «una palingenesi dei cuori».
Seguire con la giusta ironia
Si rimane nell’ambito umoristico del flusso sanremese con le quattro vignette che ho visto sul profilo Facebook di don Giovanni Berti (
bit.ly/49qIsUU) e sul gruppo pubblico “Gioba.it sorrisi e pensieri evangelici”. Come al solito sono disegnate di getto, con la libertà espressiva che certo non manca al prete-vignettista veronese. La prima mette in bocca al Padreterno i titoli delle tre canzoni vincitrici delle ultime edizioni – nell’ordine: “Zitti e buoni” (Måneskin), “Brividi” (Mahmood e Blanco) e “Due Vite” (Mengoni) – come risposta ad altrettante domande di un angioletto sugli «uomini che fanno la guerra». Nella seconda un prete dall’aria saputa avverte due parrocchiane che stanno sgranando il rosario: «Lasciate perdere... per la settimana di Sanremo laggiù hanno staccato l’audio». Nella terza è ancora protagonista Dio Padre, che sta vergando delle note musicali su una pergamena (c’è anche una cetra), mentre il solito angioletto spiega a un suo sodale: «L’anno prossimo vuole andare a Sanremo con una nuova versione del Cantico dei cantici». La quarta “commenta” il Vangelo di domani: anziché andare in tutto il mondo a predicare, non si farà prima ad affidare un comunicato ad Amadeus? Mi pare che Gioba, sempre «per ridere», si badi bene, suggerisca che, Vangelo alla mano, possiamo tranquillamente «staccare l’audio» e astenerci dal seguire il Festival, oppure, all’opposto, desiderare di parteciparvi con le pagine poeticamente più alte dell’intera Bibbia (ciò che peraltro fece, a modo suo, Roberto Benigni al Sanremo del 2020). O ancora spendere la straordinaria popolarità delle canzoni e dello spettacolo per annunciare un Vangelo di pace.
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