Tra le tante foto che August Sander dedicò negli anni della Repubblica di Weimar, e cioè nella Germania tra la Grande Guerra e la presa di potere di Adolf Hitler, ce n'è una che mi commuove particolarmente, quella dei due giovani contadini vestiti da domenica, in volto un'espressione di serenità e di fiducia, di interiore solidità, ignari delle mutazioni che si annunciano. Ho memoria dei contadini della mia infanzia, peraltro miei stretti parenti, e della loro domenica di riposo, quando si radunavano la mattina sul sagrato delle chiese vestiti a festa, e il pomeriggio nelle osterie a giocare alla morra o alle bocce. Ballavano anche, ma solo a carnevale, sulle aie o nelle case, debitamente invitati dai capifamiglia (e se no, erano loro permessi solo tre balli). Altri tempi, altri contadini. In occasione di Expo sono usciti migliaia di libri che parlano di cibo e cucina (provocando, diciamolo, un effetto di nausea da sovrabbondanza, da esagerazione) e qualcuno che parla seriamente di agricoltura. Molti tra questi esaltano il ritorno alla terra, alla natura. Chi ha seguito le vicende delle tante comuni agricole messe in piedi dai giovani delusi dalla politica, dopo il '68, sa bene quanto sia stato difficile trasformarsi da cittadini in contadini, e oggi, spesso, si ha la stessa impressione di eccesso di fiducia in chi questo va predicando, di scarsa considerazione delle difficoltà che si incontrano nella ricerca di soluzioni economicamente solide, non solo in quelle del vivere insieme (si legga in proposito il piccolo e straordinario resoconto di una queste esperienze, Colonia Cecilia di Afonso Schmidt, su una comune agricola messa in piedi da giovani emigrati italiani nel Brasile di fine Ottocento, Edizioni dell'asino). Insomma, non è così facile il ritorno alla terra, anche se è una strada da percorrere fino in fondo; vedi in proposito il recentissimo saggio sui Nuovi contadini, ovvero Le campagne e le risposte alla globalizzazione di Ian Dowe van der Ploeg (edizioni Donzelli).