Da simbolo di epiche battaglie ambientaliste a potente strumento di marketing e promozione commerciale. È l'evoluzione della sigla No Ogm (che sintetizza l'opposizione all'uso degli Organismi geneticamente modificati), che con intelligenza gli agricoltori hanno riempito di significati che sono andati al di là della lotta ad un modo diverso di intendere la produzione alimentare. Oggi, quindi, gli alimenti che non contengono materie prime geneticamente modificate hanno un loro mercato - che non è di nicchia -, sono apprezzati dai consumatori, costituiscono non un esempio fra tanti ma l'esempio per eccellenza di come si possa fare produzione alimentare al tempo delle supertecnologie e delle manipolazioni eccessivamente spinte.A testimonianza di quanto sia stata forte l'evoluzione di questo settore, ad Expo è stato presentato un marchio che indicherà l'assenza di Ogm non nei prodotti finiti ma in una delle materie prime più importanti della filiera alimentare: i mangimi. In controtendenza alla crisi, infatti, il mercato dei mangimi senza Ogm è cresciuto in Italia del 15% negli ultimi tre anni. Da qui l'idea dei Consorzi agrari d'Italia (Cai), presentata nel padiglione Coldiretti ad Expo, di creare un marchio mangimi No Ogm per rispondere alle esigenze di un numero crescente di consumatori. Un'idea supportata da numeri che arrivano dai mercati e che dicono come i consumatori siano anche disposti, negli Usa, a pagare il 14-21% in più per avere alimenti "Ogm free". Valori ancora più elevati sarebbero stati registrati per la carne, per la quale i consumatori statunitensi spenderebbero 7 dollari in più al chilo per averla certificata come esente da modificazioni genetiche. Guardando al mercato italiano ed europeo, fra l'altro, i Consorzi agrari aderenti a Cai hanno convertito da tempo tutti i mangimifici alla produzione di mangimi senza modificazioni genetiche. Dalla conversione degli impianti già per l'annata in corso - è stato spiegato ad Expo -, si prevede la produzione di 280mila tonnellate di mangimi No Ogm che saranno tutte commercializzate con l'unico marchio di Consorzi agrari d'Italia.Proprio quest'ultima mossa, indica in effetti la strategia più di lungo periodo dei Cai: diventare i primi nel mercato di questo settore. È, a ben vedere, il segno più chiaro dell'evoluzione compiuta dal "fronte" di chi si oppone alle modificazioni genetiche nell'agroalimentare. La trasformazione di una lotta che rischiava di rimanere tale, in qualcosa di diverso e più ampio, che non si oppone e basta ma costruisce prodotti e mercati nuovi.