I conflitti che vediamo I Giochi che ci servono
Nessuna medaglia, nella storia dei Giochi, è mai arrivata per nessun atleta palestinese, sette invece quelle vinte dagli israeliani fra vela, judo e kayak. Tuttavia atleti palestinesi, ai Giochi da Atlanta 1996, e israeliani, prima partecipazione Helsinki 1952, hanno avuto la possibilità di vivere l'esperienza del villaggio olimpico, un luogo dove le separazioni si annullano e i muri non esistono, dove tutti espongono la propria bandiera con orgoglio e rispetto per quella degli altri.
L'accordo del 2011 prevedeva proprio un sostegno concreto alla realizzazione di quel sogno per ragazzi e ragazze come Zakyia Nassar, l'unica nuotatrice palestinese scesa in vasca a Pechino 2008, che si era allenata in una piscina lunga 10 metri (anziché i 50 regolamentari) a causa del divieto da parte di Israele a farle raggiungere Gerusalemme e del sostanziale disinteresse dell'Autorità Palestinese. «E dire – raccontò ai tempi Mario Pescante – che la questione degli allenamenti non era assolutamente fra le richieste di partenza della trattativa. È stata un'offerta spontanea, un grande valore aggiunto a quanto sta accadendo». Già, un valore enorme: quello di far vivere un'esperienza di pace e di risoluzione di ogni conflitto, come quella che si vive nel villaggio olimpico. Perché, è evidente: se è possibile lì, è possibile sempre. Se è possibile lì, allora non è un'utopia.
Questo tormentatissimo percorso di avvicinamento ai Giochi posticipati di Tokyo 2021 si complica ulteriormente, dopo la pandemia, del riaccendersi violento del conflitto fra Israele e Palestina. Un conflitto che sembra infinito e che vede la necessaria legittimazione e ragione di due popoli, non trovare soluzione attraverso la forza. Lo sport continua a ricordare che un'altra strada è possibile. Proprio per questo motivo, nonostante il parere contrario, almeno secondo i sondaggi, di tanti cittadini giapponesi, abbiamo davvero bisogno di Giochi Olimpici che siano, per l'ennesima volta, simbolo di ripartenza e di pace. Abbiano bisogno di un'utopia che diventi realtà, almeno per 15 giorni.