Confine, strana storia di parola "mutaforma", in balia degli umori degli uomini, della politica, dell'economia, della psicologia e dell'agricoltura, ohibò. L'accenno al pio bove non è casuale. In antico, il latino confinis era un sostantivo e indicava il vicino, proprietario del fondo adiacente. Da aggettivo, definiva chi era limitrofo e affine, connesso, sostanzialmente amico. Tra "confine" e "affine" in fondo la differenza passa per un minuscolo preffisso. Attorno alla parola, ora parolaccia ora parolina, ruotano due diverse concezioni del mondo che difficilmente riescono a dialogare. Per alcuni i confini vanno abbattuti, se possibile, in quanto ostacoli al dialogo e alla pace, e qui siamo nel campo, ora ammirato ora deriso, di chi è convinto che il destino dell'umanità sia una reale fratellanza, per cui il nostro compito è accelerare il fatale processo cominciando a erodere i confini, quelli che i latini chiamavano limes, perché il confinis unisce, mentre il limes separa e divide da qualcuno o qualcosa di minaccioso e ignoto. Per altri i confini vanno barricati, i solchi vanno risolcati, perché chi è dentro è amico ma chi è fuori è forestiero, minaccioso e misterioso con lingua, sapori, suoni e colori diversi, e tutto ciò che è "diverso", ossia non riconoscibile, è ostile. Il confine non suscita curiosità verso ciò che è oltre, ma diffidenza e timore, perfino odio. Nei casi estremi certi leader insinuano: saranno veramente "umani" quegli altri, così diversi da noi? Per odiare, è bene disumanizzare. Nessun confine è naturale, tranne quelli geografici tipo impervie catene montuose, infiniti oceani e fiumi impetuosi, difficili da varcare. Ma tutti i confini sono ambivalenti. Il Canale della Manica, ad esempio, spesso ha protetto la Gran Bretagna dall'invasore ostile, come Filippo II del XVI secolo o Hitler nel XX. Poi però è stato addirittura scavato un tunnel per demolire quel confine e farlo svanire. Ma quel confine non protesse i britanni dai sassoni, e i sassoni dai normanni. I confini incuriosiscono: che cosa ci sarà dall'altra parte? Ma anche inquietano: chissà che cosa c'è dall'altra parte! Il confine va sorvegliato e protetto, diventando a volte "sacro" quando appartiene alla patria. Peccato che tracciare i confini a volte sia così difficile da risultare impossibile, perché è proprio dei popoli varcarli e rimescolarsi, come tra Israele e Palestina, dove il vero confine più tenace è quello dentro i cuori delle opposte fazioni. Di recente, abbiamo scoperto che alcuni confini ritenuti perlopiù simbolici e amministrativi si sono tramutati quasi in trincee. Il coronavirus ha indotto al divieto di uscire dalla propria regione; e quando si è passati alla Fase 2, abbiamo constatato che alcune regioni intendevano proteggere il proprio confine, e con ottime ragioni, oltre il quale si sarebbero celate orde di untori, quasi barbari appestatori.
La sensazione è che i confini più tenaci siano dentro la nostra testa. Più li restringiamo per meglio proteggerli, più ne siamo vittime e diveniamo ottusi, stupidi, obbligati a ragionare per schemi fissi, norme spesso irragionevoli ma rassicuranti, pregiudizi come cappottini caldi da indossare per proteggerci dal gelo di "oltre confine": persone nuove, idee nuove, progetti nuovi. Sono confini invisibili, ma non troppo, e talvolta rischiano si ingrigire aziende, famiglie, parrocchie condannandole a un autunno infinito. Certi confini invalicabili, fatti di mura e sbarre, oltre i quali nulla trapela, anziché garantirci la libertà ce la tolgono. Si chiamano prigioni e l'arte più sopraffina dei "signori del confine" è farcele amare e desiderare.