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I celerini

Marina Corradi mercoledì 13 marzo 2024
Il primo giorno delle Medie scoprii che la mia scuola, un unico edificio con il liceo Parini di Milano, era presidiata dalla Polizia. Per i turbolenti liceali, e non certo per noi piccoli. Ma rimasi colpita da quel manipolo in tenuta antisommossa. Sarebbero stati, in quegli anni violenti, spesso davanti a scuola. Celerini, li chiamavano con disprezzo i “grandi”, «servi del Potere», gli gridavano. I ragazzi in divisa non rispondevano. Erano molto giovani. I capelli rasati quasi a zero, i volti sopra le divise come uguali, apparentemente tutti simili. Bruni, occhi neri, giovani del Sud reclutati in zone di atavica disoccupazione. Erano i nipoti dei braccianti raccattati a giornata, all’alba, nelle piazze dei paesi. Poi presi a guardarli in faccia, uno per uno: quello giovanissimo, sbarbato, e quello massiccio, tosto, che considerava sprezzante i liceali milanesi ansiosi di rivoluzione. Mi soffermavo sulle loro mani grosse, da genia di braccianti: la rivoluzione, semmai, avrebbero dovuto farla loro. Alcuni seguivano con gli occhi le ragazze, magari da quelle camionette se ne innamoravano. Ma poi a Milano venivano i giorni di battaglia, di fumogeni e cariche. Era una guerra, vista dal Parini, ma strana: i figli dei borghesi, i “compagni”, contro i figli dei poveri veri. Alla fine, il sabato sera, i celerini in caserma; gli altri, almeno alcuni, a Cervinia, a sciare. © riproduzione riservata