Una foto, mille parole. Con i cavalletti di Exposed a Torino si scoprono nuovi paesaggi
"L’osservatore non l’oggetto osservato", 1981-2003, di Remo Salvadori alle Ogr di Torino per il Festival internazionale di fotografia Exposed
Il cavalletto fotografico come “modo di procedere”, come archetipo dello sguardo, fulcro attorno al quale condensare la centralità dell’azione del vedere, elemento basilare nell’indagine sul rapporto tra l’opera e l’osservatore, rendendo quest’ultimo consapevole della propria esperienza. L’osservatore non l’oggetto osservato, 1981 – 2003, di Remo Salvadori è un’opera da attraversare per scoprire tanti punti di vista e tanti modi di vedere la fotografia e il suo rapporto con l’arte. L’opera è una composizione di sculture, tanti cavalletti, in rame. Per “perdersi a guardare”, direbbe Mimmo Jodice. La macchina fotografica sono i nostri occhi, il nostro sguardo, i nostri passi. Per vedere e andare lontano. Per immaginare una cascata potente, impetuosa, come fossimo in una foresta tropicale, ammirando la Waterfall dell’artista americana Teresita Fernàndez che si trova a tiro dei cavalletti: lunghe bande di materiale acrilico blu, azzurre e bianche, simili a fotogrammi. O lasciarci ipnotizzare, dall’altra parte, dalle proiezioni in continua trasformazione, colorate e psichedeliche di diapositive in cristalli liquidi del tedesco di Norimberga (1926 – 2017), Gustav Metzger, pioniere dell’arte “tecnologica”.
Siamo al Binario 1 delle Ogr - Officine Grandi Riparazioni di Torino, mentre al binario 2 scorrono i progetti della collettiva A view from Above, che prova a guardare il paesaggio adottando la prospettiva verticale. Dall’alto verso il basso, dal basso verso l’altro. Nuove prospettive. Nuove visioni. “New Landscapes - Nuovi Paesaggi” nella prima edizione di Exposed Torino Foto Festival, il neonato Festival Internazionale di Fotografia di Torino, fino al 2 giugno nel capoluogo piemontese che si candida a essere la capitale italiana della fotografia. Una riflessione sull’evoluzione odierna del medium fotografico e delle principali sfide e innovazioni del mondo dell’immagine, attraverso un cartellone di 28 mostre temporanee, incontri, talk ed eventi in 23 sedi delle principali istituzioni culturali torinesi (si può acquistare un unico pass valido per tutta la durata del Festival). Promosso da Città di Torino, Regione Piemonte, Camera di commercio di Torino, Intesa Sanpaolo, Fondazione Compagnia di San Paolo e Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea Crt in sinergia con Fondazione Crt e organizzato da Fondazione per la Cultura Torino, Exposed nasce dalla volontà di sottolineare la vocazione culturale e artistica della città. La direzione artistica è affidata a Menno Liauw e Salvatore Vitale di Futures – piattaforma internazionale che comprende 19 importanti istituzioni artistiche europee del mondo della fotografia. “Uno stile innovativo e inclusivo per attrarre un pubblico eterogeneo attraverso un programma che comprende diversi approcci alla fotografia: da quella classica a quella contemporanea, cross-media, installativa e performativa”. Con “progetti – aggiunge Vitale – che spesso sono il risultato di una ricerca a lungo termine sugli sviluppi sociali delle comunità”.
Ed ecco alcune suggestioni dal nostro tour nei limiti delle mille parole. Al Polo del ‘900, Mónica de Miranda, la vincitrice della prima edizione di Exposed Grant for Contemporary Photography 2023, con la mostra inedita As if the world had no West riflette sulla modalità di creazione di nuovi paesaggi, investigando ecologie nascoste, ma metafisicamente presenti, nel contesto geografico dell’Angola, al fine di decostruire la comprensione occidentale dei meccanismi di costruzione della memoria, della storia e della conoscenza del territorio. Al centro dei progetti ospitati da Camera (in corso la mostra Robert Capa e Gerda Taro; la fotografia, l’amore, la guerra) ci sono i nuovi trend della fotografia italiana e mondiale: l’artista sudcoreano Dongkyun Vak con la mostra Heatwave esplora in particolare la tensione tra uomo, natura e tecnologia nell'Antropocene. Alle Gallerie d'Italia – Torino di Intesa Sanpaolo - fra La grande saggezza della fotografa, biologa e attivista Cristina Mittermeier e Non ha l’età. Il Festival di Sanremo in bianco e nero 1951-1976 - la designer olandese Simone C. Niquille presenta Beauty and The Beep, un cortometraggio incentrato sulla co-esistenza tra persone, dati e processi tecnologici derivanti dalla visione computerizzata incorporata nei robot domestici. E se spostandosi fino al meraviglioso Castello di Rivoli Museo d'Arte Contemporanea con Expanded With (fino al 25 agosto) a cura di Marcella Beccaria, si possono ammirare opere di pionieri della Land Art, dell'Arte Povera e della Body Art, la Gam - Galleria Civica d'Arte Moderna e Contemporanea con Expanded – I Paesaggi dell'Arte (fino all’1 settembre, a cura di Elena Volpato) regala degli scatti di pura fotografia che – da Gianfranco Gorgoni a Ugo Mulas, da Armin Linke a Mario Cresci, da Olivo Barbieri a Gabriele Basilico – danno davvero le… vertigini.
“C’è un desiderio di vertigine nella storia della fotografia - scrive nel catalogo la curatrice -. C’è dai temi dei primi fotografi che salirono su palloni aerostatici per scattare dall’alto immagini di città. Sovente tale inclinazione si è accompagnata a una relazione complessa tra fotografia e arte. Quando Honoré Daumier dedicò a Nadar la vignetta in cui il fotografo si affaccia col suo apparecchio dalla piccola cesta di una mongolfiera trascinata via dal vento, aveva forse colto qualcosa di più di quanto a primo acchitto sembra trapelare dall’ironica didascalia: Nadar élevant la photographie à la hauteur de l’Art. Non c’è in gioco solo l’altezza fisica a confondersi con quella metaforica, nella nobile gara che doveva portare la nuova tecnica al riconoscimento artistico. In quei primi ritratti di Parigi dal cielo c’è forse anche la voglia di conquistarsi un’immagine che non coincidesse del tutto con la norma della gabbia prospettiva rinascimentale”. E se la prospettiva e le vertigini sono soprattutto quelle che si generano nella mente, una foto può esserne il tramite. “La più vertiginosa immagine della storia della fotografia – continua Volpato – non è in senso stretto uno scatto fotografico, ma un balzo dell’immaginario nato davanti a una fotografia, quella della terra vista dallo spazio. Ghirri contemplava la piccola sfera galleggiante nel buio e seppe scorgervi all’interno, tutte, una dentro l’altra, telescopicamente inabissata in quella miniatura”: “Graffiti, affreschi, dipinti, scritture, fotografie, libri, film. Contemporaneamente – è ora lo stesso Ghirri a scrivere in Kodachrome, 1978 - la rappresentazione del mondo e tutte le rappresentazioni del mondo in una volta sola. Ecco cosa c’è in una bolla di un souvenir con la neve (Modena, 1971). Nuovi e infiniti paesaggi. Da scorgere dietro un cavalletto. A Torino.
Una foto e 996 parole.