Hulot, oltre la civiltà dei consumi e delle macchine
Nato nel 1907 e morto nel 1982, Tati non si considerava un intellettuale, come ribadisce a più riprese nelle interviste ora riunite nel Ritorno di Monsieur Hulot, compresa quella, fondamentale, rilasciata ad André Bazin e a François Truffaut, dove dichiara che «non è necessario essere un grande comico per trovarsi in una situazione comica». È la descrizione perfetta del personaggio da lui ideato e nel quale ha finito con l'identificarsi, il piccolissimo borghese Hulot, un tipo talmente comune da essere designato soltanto dal cognome, come succedeva una volta a scuola o in ufficio. Cappello in testa e pipa in bocca, l'impermeabile chiaro che svolazza dalla bicicletta o si impiglia in un'improbabile utilitaria, Monsieur Hulot è una delle maschere indimenticabili della comicità cinematografica. Ricorda il nostro Totò per la capacità di descrivere il mondo intero con una smorfia, ma è innegabile che nelle sue avventure sia presente la lezione di Buster Keaton, il taciturno per antonomasia, e dello stesso Charlie Chaplin. Monsieur Hulot, infatti, è quasi uno Charlot che ha imparato ad adeguarsi quanto basta alle regole del vivere sociale. In uno di film più riusciti della serie inaugurata nel 1953 da Le vacanze di Monsieur Hulot e conclusa nel 1971 da Monsieur Hulot nel caos del traffico, Tati si concede addirittura il lusso di riscrivere a modo suo uno dei più celebri copioni di Chaplin, Il monello.
Il tema è, ancora una volta, quello della libertà, solo che in Mio zio – la pellicola del 1958 universalmente conosciuta come Mon Oncle – è la nuova civiltà dei consumi a dettare le regole che tengono prigioniero Gérard, impersonato dal giovanissimo Alain Bécourt. Si tratta del nipote dello stesso Hulot, il quale, in modo più o meno inconsapevole, finisce con l'affrancare il bambino dalla posticcia sicurezza promessa dalla macchine per riconsegnarlo, in via forse non del tutto provvisoria, a una semplicità di vita dominata dalla dimensione del gioco e della leggerezza (Playtime, "Tempo di divertimento", èil titolo del film che Tati girerà nel 1967, proseguendo la sua poetica polemica contro le illusioni del progresso). Ma questa impresa di liberazione non trova affatto consenzienti i genitori di Gérard, i signori Arpel, ai quali gli attori Jean-Pierre Zola e Adrienne Servantie conferiscono uno straniamento degno del teatro di Ionesco. La loro casa, già popolata dalle risorse di quella che oggi chiamiamo domotica, non è di certo il territorio più adatto per la svagatezza di Hulot. Il quale, come al solito, riuscirà a far prevalere il principio di realtà senza neppure togliersi la pipa di bocca.