Ho occhi per scrivere Qui c'è la mia vita
Lo scorso giugno, con la voce ridotta a una catena arrugginita, pensavo di essere arrivato al capolinea. Con il dito riuscivo ancora a digitare sulla tastiera virtuale, ma ogni clic mi costava uno sforzo immenso, dopo cinque minuti ero sfinito e grondavo sudore. Per scrivere sessanta righe potevo metterci anche otto ore, equivalenti a quattro giorni visto che stare più di due ore al pc era impossibile. A luglio riuscivo a cliccare solo grazie a una specie di "ponte" fatto di giornali e nastro adesivo – un accrocco, per dirla alla romana – che teneva la mano sollevata nella giusta angolazione, ma a perderla era un attimo. Ad agosto, però, fine. E ora?
«Ma perché non provi con un puntatore oculare?», mi chiedono degli amici tedeschi che mi avevano invitato per farmi fuggire dal caldo di Roma. Perché, rispondo, costano uno sproposito e, a differenza che da loro, in Italia questi ausili non vengono dati gratuitamente dallo Stato a chi è nelle mie condizioni. «Vabbè – mi fanno, dopo aver superato lo stupore per questa cosa per loro inconcepibile –, tu però falla, una prova». Provo. I primi approcci sono un disastro, da deprimersi. Poi, a fine agosto, al quarto e ultimo dispositivo provato, bingo! Tutto funziona alla perfezione, tutto viene semplice, naturale.
«Per prendere un po' la mano le serviranno almeno due settimane, e qualche mese per padroneggiare il sistema», mi diceva l'addestratore. Ma io sono un capoccione, e dopo tre giorni già scrivevo il primo articolo. Anche questo è stato scritto con gli occhi. Un mondo nuovo. Ah, dimenticavo: il sistema mi è stato regalato dai miei amici tedeschi, io non me lo sarei potuto permettere, e non perché non vogliano perdersi quello che scrivo – non parlano una parola di italiano, peraltro – ma perché sapevano quanto sia importante per me continuare a scrivere, a comunicare. Fino alla fine.
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