Il colpo inferto all'immagine della Chiesa lunedì scorso da parte di History (canale 411 di Sky) non è stato da poco. In prima visione alle 21,50 era previsto il documentario Mea culpa - Corruzione in Vaticano di Maria Roselli e Marco Tagliabue che l'emittente ha pensato bene di programmare a “panino” tra Chiesa nostra e Sacro denaro, due vecchie inchieste dello storico e conduttore televisivo britannico John Dickie sui «rapporti tra mafia e Chiesa» e sulle «ricchezze della Chiesa», per poi chiudere con la replica di Mea culpa e mettere insieme un bombardamento di quasi quattro ore. Diciamo subito che Mea culpa non racconta niente di nuovo sull'ormai famigerata vicenda del palazzo londinese acquistato dalla Segreteria di Stato vaticana con tutto quello che è girato attorno tra finanzieri, broker, speculatori e faccendieri. Uno scandalo riconosciuto dallo stesso Francesco di fronte ai giornalisti: «Hanno fatto cose che non sembrano pulite». Parole che l'inchiesta di History cita in partenza per poi difendere sempre l'operato del Papa. Infatti, non è questo il problema. Il problema è l'immagine complessiva di Chiesa che emerge. Ad esempio anche Dickie in Chiesa nostra difende il Papa, don Puglisi, don Ciotti e don Panizza, ma questo non gli impedisce di affermare, generalizzando, che «la Chiesa ha visto nella mafia un alleato politico e un socio in affari ed è ancora vulnerabile al crimine organizzato». Lo stesso dicasi per Sacro denaro dove si parla di Chiesa opulenta, di potenza economica, di enorme patrimonio immobiliare, di investimenti in tutto il pianeta. Insomma, il Papa e pochi altri preti appaiono come l'eccezione che conferma la regola e non il contrario e cioè che i disonesti (che sicuramente si annidano tra vescovi, preti, religiosi e laici che si dichiarano cristiani) sono l'eccezione che conferma la regola di una Chiesa santa, sia pure per meriti non propri.