Hinda, la cronista somala che dà voce alle donne
Da piccola ascoltava la Bbc da mattina a sera, e quando aveva 7 anni sua madre, compreso che si trattava di una passione vera, le regalò un apparecchio radio tutto suo. «Così puoi ascoltare quello che vuoi e quando vuoi, mi disse». Hinda Abdi Mohamoud allora aveva 7 anni, viveva a Jigjiga, la capitale del Somali, regione dell’Etiopia, prima di trasferirsi a Hargheisa, la seconda città della Somalia, per studiare Relazioni internazionali. Da adolescente voleva diventare scrittrice; oggi, a 28 anni, è direttrice di Bilan Media, una emittente radiotelevisiva tutta al femminile, l’unica della Somalia, sostenuta dall’Onu come modello di empowerment e fonte di ispirazione per le giovani africane.
Hinda parla con Avvenire attraverso un videocollegamento WhatsApp: ha il volto avvolto da uno stretto velo color nocciola a cui non sfugge nemmeno un capello, occhiali dalla grande montatura e uno sguardo fermo, che si appanna quando parla di sua madre. «Mi ha sempre sostenuta e incoraggiata, anche quando tutti gli altri parenti mi suggerivano di lasciar perdere, mi dicevano che non era un’ambizione possibile, per una ragazza». E certo né l’intera Somalia, né Mogadiscio dove ora vive sono posti facili per i giornalisti. Minacce e intimidazioni sono da mettere nel conto, la violenza dei terroristi islamisti di al-Shabaab è quotidiana anche per i reporter uomini (nel 2011 fu assassinato Abdiaziz Mohamud Gulet, direttore di Radio Mogadiscio), ma «noi donne siamo ancora più vulnerabili».
Hinda Abdi Mohamoud - Bilan Media
E continua: «È bello lavorare in una media company al femminile perché decidiamo in autonomia quali temi trattare, cosa che non accade alle poche colleghe che lavorano in testate normali. Raccontiamo cosa accade alle donne nel nostro Paese, scriviamo di violenza domestica, di abusi, di matrimoni precoci, della diffusione dell’Hiv, della mancanza di servizi per la salute mentale delle neomamme. Ma non vogliamo parlare solo di cose negative: descriviamo anche donne straordinarie che fanno qualcosa di importante per le proprie comunità: piccole imprenditrici rurali, inventrici, educatrici, politiche di cui nessun altro parla. Con noi le donne si aprono, perché siamo donne anche noi e si fidano. Andiamo in giro con lo smartphone, filmiamo e montiamo i nostri servizi sul pc, arriviamo nei villaggi più remoti».
A giugno la direttrice ha ricevuto a Londra il One World Media Press Freedom Award; alcuni reportage di Bilan sono stati pubblicati da testate internazionali, altri hanno sollevato dibattiti nel Paese, facendo crescere la consapevolezza della sopraffazione quotidiana di cui spesso fanno le spese le donne e di cui gli altri mezzi di informazione somali tacciono, soprattutto perché sono gestiti da uomini in un Paese in cui ci si aspetta che le donne stiano zitte e tutt’al più governino la casa e i figli. Hinda racconta che una sua giovane giornalista è stata vittima di minacce di morte se non avesse abbandonato il mestiere e per convincerla gli al-Shabaab hanno fatto saltare in aria il negozietto della madre, che nell’incendio è rimasta invalida, e lei per tutta riposta ha iniziato a lavorare per Bilan Media, che in somali significa luce.
«Siamo modelli di ruolo per le ragazze che vogliono intraprendere la professione di giornalista, ma anche per quelle che vogliono studiare per essere indipendenti Noi dimostriamo che si può credere in sé stesse, che si può combattere per i propri sogni, anche in un mondo che sembra fatto solo per gli uomini». A Bilan, che compie due anni di vita, ora lavorano 6 giornaliste e 2 praticanti, e il progetto per il futuro «è di diventare sostenibili in modo da assumere altre colleghe e allargare la nostra attività».
Ora Hinda sta lavorando anche a un altro progetto: se a 23 anni ha autopubblicato un libro sulla storia della Somalia, portando le 300 copie agli eventi per venderlo, oggi ne sta scrivendo un secondo, che racconta storie di bambini che crescono soli dopo essere stati abbandonati o diventati orfani. «La gente ti prende sul serio se sei giornalista. Altrimenti puoi anche parlare, ma non ti ascoltano», conclude.© riproduzione riservata